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Addio a Todorov, filosofo dell’alterità e dei totalitarismi

di Silvia Sperandio

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Tzvetan Todorov, il 24 ottobre  2008, a Oviedo,  in Spagna,  riceve il premio  Principe delle  Asturie per le Scienze sociali (AFP PHOTO / Miguel Riopa)

Tzvetan Todorov, il 24 ottobre 2008, a Oviedo, in Spagna, riceve il premio Principe delle Asturie per le Scienze sociali (AFP PHOTO / Miguel Riopa)

7 febbraio 2017
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2' di lettura

Addio a Tzvetan Todorov. Il filosofo bulgaro naturalizzato francese, allievo di Roland Barthes e considerato uno dei maggiori intellettuali contemporanei, si è spento nella notte a Parigi dopo una lunga malattia. Lo ha annunciato il suo editore francese a tutti gli editori internazionali.

Tra un mese Todorov avrebbe compiuto 78 anni. Nato in Bulgaria nel marzo 1939, si era trasferito dal 1963 in Francia, dove ha studiato filosofia del linguaggio con Roland Barthes e ha poi guidato il Centro di Ricerca sulle Arti e il Linguaggio di Parigi.

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Al suo nome è legata la diffusione in Europa della tradizione degli studi formalisti, riscoperti dalla cultura strutturalista degli anni Sessanta. Successivamente, ancora con gli strumenti dell'analisi formalista e linguistica, Todorov si è accostato al problema dell'altro e dei rapporti tra individui e culture diverse e dei totalitarismi. In Italia l’ultimo suo libro, Resistenti, è uscito per Garzanti nel 2016. E dal 9 febbraio, annuncia la casa editrice, era previsto il ritorno in libreria, in edizione economica, di uno dei suoi saggi più noti, Il caso Rembrandt.

Abbiamo bisogno di una distanza tra noi e l’altro quasi per guardarci dall’esterno

Il tema del rapporto con l'alterità è al centro delle riflessioni contenute nel suo libro del 1982, La conquista dell'America (Einaudi, 1984). «Le differenze tra le culture sono indispensabili per il cammino stesso dell'umanità; abbiamo bisogno di una distanza tra noi e l'altro quasi per guardarci dall'esterno», afferma Todorov in una bella intervista alla Rai, che risale a fine anni 60, quando era professore di filosofia del linguaggio alla Yale University di New Haven in Connecticut.

La percezione della propria identità, infatti, passa attraverso la percezione degli altri, attraverso lo sguardo che essi posano su di noi.
Un caso di portata storica, a questo proposito, è secondo Todorov la scoperta dell’America. «Non è la sola storia esemplare sul tema - spiega -. Penso anche a vicende avvenute durante le Crociate, che rappresentano l'incontro della civiltà europea con quella araba, che per molti aspetti era superiore».

«Esistono vari aneddoti» dice ancora Todorov nell’intervista, ricordando il racconto di «un medico arabo che registra i comportamenti selvaggi degli europei i quali, di fronte ad una gamba ferita non trovavano niente di meglio da fare che amputarla, in condizioni igieniche spesso precarie, tanto che la gamba si infetta e l'uomo muore dopo tre giorni». «Il medico arabo descrive gli europei come selvaggi che non conoscono gli elementi più semplici della medicina. Al confronto lui sa curare quella ferita con 'applicazione di piante e unguenti che guariscono senza alcuna violenza».
«C'è qui un interessante sguardo gettato su di noi dagli altri - conclude Todorov - , che ci colgono nel ruolo di barbari».


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