di Stefano Salis
I giganti di Mont’e Prama (Ansa)
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Dal Sud Italia al mondo. Una organizzazione nuova, che mette in primo piano una inedita “diplomazia culturale”, che finora non era stata ancora mai così bene messa a fuoco dal Ministero degli Esteri e due “racconti” che dal Mezzogiorno archeologico e del passato trovano il modo di raccontare storie che sono apprezzabili a tutte le latitudini: ovviamente il Parco Archeologico di Pompei e un nuovo museo diffuso, quello che verrà aperto a Cabras per ospitare gli enigmatici Giganti di Mont'e Prama.
Un raro connubio, in un panel interessante e stimolante, ha visto confrontarsi ieri agli Stati Generali della cultura di Torino il giovane direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, il preseidente della neonata Fondazione Mont ‘e Prama (appena un anno di vita) e il Filippo La Rosa, nuovo Capo Ufficio Promozione Culturale e Istituti Italiani di Cultura, inaugurata qualche mese fa.
Zuchtriegel ha voluto rovesciare la narrazione che di solito si riserva a Pompei, per concentrarsi su una storia personale che lo ha molto toccato, quella del giovane Nunzio che ha avuto l'occasione in un territorio sfortunato di riavvicinarsi al mondo della cultura e prevedere una svolta nella sua vita. “Siamo luoghi di aggregazione” ha ribadito Zuchtriegel, e “non neghiamo la realtà che circonda Pompei, con i suoi problemi di occupazione, di degrado, di difficoltà”, ma, allo stesso tempo, lo sviluppo (sociale) in queste zone passa proprio da un nucleo archeologico che non è avulso dalla realtà, ma è un esempio ancora attuale.
Stesso obiettivo che ha sottolineato Anthony Muroni, Presidente della Fondazione Mont'e Prama. “Sono delle statue che testimoniano la straordinaria qualità della Sardegna megalitica e ora dobbiamo collocarle in un atlante del tempo”.
Gli enigmatici guerrieri con tanto di scudo e occhi sbarrati sono un passaporto per la Sardegna e Muroni ha già portato questa “narrazione” fatta dai guerrieri di pietra in ambasciate e consolati esteri, da Washington a San Pietroburgo, prima che il mondo inizi ad andare in Sardegna a rendere omaggio ai “guerrieri di pietra” sardi.Filippo La Rosa ha messo l'accento, invece, su quanto si potrà fare d'ora in poi con i nuovi fondi che sono stati confermati e hanno consentito la nascita di una nuova struttura all'interno del ministero degli Esteri.
Si tratta di coordinare un ottantina di Istituti Italiani di Cultura, diversi per dimensioni, per tradizione e ovviamente da adeguare a ciascun Paese nel quale si trovano. Intanto la notizia che già quest'anno ne apriranno di nuovi, da Miami ad Hanoi, passando per Almaty e poi la consapevolezza che “dobbiamo capire a quale pubblico siamo in grado di arrivare”.
Consapevolezza più che importante, dal momento che sono diverse le esigenze di promozione della cultura e il tempo e il mondo sono cambiati. “Mi diceva la direttrice dell'Istituto Italiano di Londra che in questi giorni piovono richieste di affiliazione per capire la lingua di Damiano dei Maneskin!”.
La Rosa lo dice giustamente senza sorprese e senza calcare troppo: si tratta di prendere atto che la cultura italiana, nelle sue molte sfaccettature cambia e si adegua. E anche se, come spiega La Rosa con un gioco di parole, “noi vogliamo essere portatori di cultura pura”, è certo che l'Italia ha dalla sua molte carte da giocare su questo tavolo. E può vincere la sfida che la attende, non solo per il suo passato, ma per, si spera, il suo futuro.
Stefano Salis
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