di Dario Ceccarelli
Tadej Pogacar, fresco dominatore della Parigi-Nizza (Epa)
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L’olandese Mathieu Van der Poel ha vinto la Milano-Sanremo. Al secondo posto Filippo Ganna, che ha battuto allo sprint il belga Wout Van Aert.
Si è corsa questo sabato 18 marzo la Milano-Sanremo, alla 114esima edizione. La prima con partenza da Abbiategrasso alle 9.45. Perché questo cambiamento non è ben chiaro. Probabilmente tra Comune di Milano e Gazzetta dello sport, organizzatrice con Rcs Sport della Classicissima, qualcosa non ha funzionato. Certo, suona strano. Non per fare i passatisti, o che ci siano delle riserve su Abbiategrasso, ma insomma se si chiama Milano-Sanremo un motivo ci sarà…
Come direbbe Paolo Conte, quanta strada sotto i sandali. La prima volta fu più di un secolo fa, il 14 aprile 1907, in un’alba fredda e scura che vide i 33 iscritti partire alle 5.17 sotto una pioggia battente dall'osteria delle Conca Fallata, un variopinto locale alle porte di Milano lungo il Naviglio Pavese che faceva da ritrovo a certi ceffi, con baffoni a manubrio e occhialoni da minatore, che erano appassionati del velocipede, marchingegno sempre più in voga in quegli anni di forte progresso meccanico e tecnologico.
Sono anni di gran fermento, in cui sta crescendo una borghesia più dinamica, soprattutto in quel triangolo del Nord tra Lombardia, Piemonte e Liguria, già caratterizzato da un forte sviluppo agricolo e industriale. Non tutto andava bene: operai e contadini alzavano la testa chiedendo ad agrari e industriali di poter uscire da una miseria secolare mentre Giolitti stava avviando alcune riforme a favore dei lavoratori, come la previdenza e il riposto festivo. Ma si respirava anche l'aria gioiosa della Belle Epoque. Chi poteva permetterselo, naturalmente. Tutta la Liguria, ma in particolare Sanremo, era l'approdo di una nobiltà gaudente che amava svernare al sole, pensando che la vita sarebbe stata per sempre un lungo e spensierato ballo in maschera. Figure leggendarie come la Principessa Sissi e la Zarina Maria Alekdrovna. Il Kaiser Federico Guglielmo Terzo e il sultano di Costantinopoli, Abdul Hamid. Bella gente, habitué come il grande compositore Richard Wagner, che non disdegnava una visita al Casinò di Sanremo, da poco aperto. Il rombo dei cannoni della Grande Guerra era ancora lontano. E così c'era anche il tempo e la voglia di trovare nuove attrazioni.
La Milano-Sanremo, nata da un precedente raid automobilistico finito in un fiasco, fu il banco di prova di uno sport che scalpitava per allargare i suoi confini. Fu la Gazzetta dello Sport, sotto la spinta del direttore Emilio Costamagna, a lanciarsi nell'avventura di unire la grande capitale dell'industria con la città dei fiori e dei soggiorni di lusso. Come andò a finire quella prima edizione ormai lo sanno tutti: vince il favorito, il francese Petit Breton, chiamato così perché era appunto piccolo di statura e nativo della Bretagna. Il successo di Breton, va detto, fu favorito da un patto sciagurato con il nostro Giovanni Gerbi, meglio conosciuto come Diavolo Rosso, per la sua ferocia agonistica e perché a un Giro del Piemonte, nella foga di correre al traguardo, era finito in mezzo a un funerale seminando il terrore nel corteo. “Cullè u è er diavo!! gli gridarono dietro alcuni fedeli facendo il segno della croce. E da allora, per via anche di un maglione vermiglio che era la sua divisa, diventò per tutti il Diavolo Rosso.
Un Diavolo che però sapeva fare bene i suoi conti. E siccome il Bretone gli promise un cifra superiore allo stesso premio della corsa, Gerbi, nativo di Asti, preferì allora aiutare il francese per andare sul sicuro. Erano altri tempi, si correva per passione ma soprattutto per denaro. Molti di questi appassionati erano muratori, contadini, operai, poveri di soldi ma non di spirito. Che arrotondavano, pedalando, il magro salario. A volte intascavano un premio in denaro, altre volte prosciutti, capretti e formaggi per far contente mogli e fidanzate. Lo stesso Petit Breton, che vinse la prima Sanremo dopo 11 ore 4 minuti e 15 secondi impiegati a percorrere 288 km, era uno spazzacamino che poi morì nel 1917 sul fronte delle Ardenne. Era un tipo perfetto per l’epoca: tubolari a tracolla e maglione girocollo anche in estate. Un grande, Breton, che vinse anche due Tour de France consecutivi nel 1907 e nel 1908.
Quella Sanremo fu vinta alle media di 26 chilometri all'ora. Non ridete: adesso filano tutti a 45 all'ora, ma andate voi su quelle strade, con quelle buche, senza meccanici, auto di sostegno, l'impossibilità di mangiare e cambiare bici. Adesso il Turchino, da cui poi ci si “tuffa verso il mare,” è come la montagnetta di San Siro, ma allora era un minaccioso K2 quasi sempre flagellato dal maltempo.
Questa è l'alba della Milano-Sanremo. Poi tra una guerra e l'altra arriveranno le sfide tra Girardengo e Binda, Coppi e Bartali, Merckx e Gimondi, Moser e Saronni e via elencando fino ai nostri giorni dove però, se ci fate caso, a parte l'ultimo successo italiano di Vincenzo Nibali (2018) nessuno ricorda più il vincitore della scorsa edizione. Chi è? Ve lo diciamo noi, ma abbiamo dovuto fare uno sforzo per ricordare. È Matei Mohoric, uno sloveno. Ormai nel ciclismo, a parte qualche eccezione, che adesso nomineremo, vincono sempre gli sloveni. Oltre a una Federazione che lavora bene, in quel Paese deve esserci un'aria davvero particolare. Evidentemente più frizzantina. Non a caso il favorito di questa edizione era Tadej Pogacar, il nuovo Merckx, reduce da un'altra vincente galoppata alla Parigi- Nizza.
Un altro sloveno, Primoz Roglic, ha invece dominato una settimana fa la Tirreno-Adriatico. Fortunatamente Roglic, per rifiatare non verrà alla Sanremo. Però se non è zuppa è pan bagnato. Gli stranieri talentuosi abbondano: a partire dal belga Wout Van Aert, altro favorito dagli scommettitori. Poi c'è l'olandese Van Der Poell, il francese Alaphilippe, e una sfilza di nomi zeppi di “K “e “W” ansiosi di conquistare la Classicissima di primavera. L'unico italiano che può dire la sua è il solito Filippo Ganna, uscito con successo da 3 giorni di comando alla Tirreno-Adriatico. Ganna è a metà del guado: in pista e a cronometro è superPippo, resta ancora Pippo invece nelle classiche e sui percorsi misti. È un talento indiscusso, che sta anche cercando di migliorare in salita. Dopo la Sanremo andrà alla Parigi-Roubaix, un'altra corsa alla sua portata.
L'albo d'oro della Sanremo è davvero d'oro. E rende più sfavillante il mito di tanti campioni venerabili: dal Cannibale Merckx che ne vanta sette, al leggendario Girardengo che ne firma sei ( più tre secondi posti e due terzi) passando per Bartali e Zabel che ne hanno centrate quattro, Coppi solo un tris. Perché la Sanremo ha questo fascino? Perché è una magia, un mistero. Sulla carta, la possono vincere tutti. Ma non è vero. Forse una volta premiava i più coraggiosi, adesso premia i campioni più campioni che sono anche scaltri. Del resto non è facile emergere da un mucchio di 200 corridori.
E poi c'è la suspense: visto che il Turchino non fa più paura, dopo 280 chilometri di corsa si arriva al Poggio dove in un quarto d'ora succede tutto: una botta di adrenalina con quella discesa verso via Roma che premia i più audaci. Eddy Merckx, 7 volte vincitore in Riviera, la spiega così: «Era ed è la corsa più lunga del mondo, la più facile in apparenza, ma la più difficile tatticamente. Ci vuole tantissima fortuna e tantissima forza. La forza l’ho sempre avuta, la fortuna finché sono stato forte mi ha aiutato….».
Gli aneddoti sulla Sanremo sono infiniti. Quello più divertente riguarda la prima edizione dopo la Guerra, nel 1946. La vince Fausto Coppi, in fuga da Binasco, ribadendo che l'ultimo Giro d'Italia nel 1940 non l'aveva vinto per caso. Il secondo, Lucien Teissere, arriva a Sanremo dopo 14 minuti. Non sapendo più cosa dire, il radiocronista, il celebre Niccolò Carosio, se la cava così: «Nell'attesa degli altri concorrenti, trasmettiamo musica da ballo…».
Dario Ceccarelli
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