di Andrea Chimento
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Leos Carax si dà al musical: il grande regista francese ha firmato con «Annette» il suo primo film in lingua inglese, realizzando l'ennesima opera affascinante e imperdibile della sua importante carriera.
Si tratta di una vera e propria “opera rock”, con le canzoni degli Sparks che danno vita a un'originale sceneggiatura a se stante: la trama ruota attorno a una coppia di artisti, cabarettista lui e cantante di fama internazionale lei, la cui vita viene rivoluzionata dalla nascita della prima figlia, Annette.
Fin dalle prime battute si coglie come sia un'opera profondamente personale e metacinematografica, con lo stesso Carax che dà il via all'azione in un modo piuttosto simile all'incipit del suo, straordinario, film precedente, «Holy Motors» del 2012, con cui «Annette» ha più di un collegamento: dalla riflessione sul ruolo del performer alla struttura narrativa spezzettata, fino agli spunti dedicati al tema dell'identità.Un'altra costante nelle opere di Carax sono le citazioni, che qui spaziano dalla letteratura al cinema (si veda il notevole omaggio a King Vidor nel corso della pellicola), anche se a volte l'accumulo di riferimenti risulta troppo evidente e un po' fine a se stesso.
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Se la sceneggiatura ha alcuni momenti esageratamente confusi e non mancano alcune cadute di stile, ci sono altrettante sequenze ricchissime di suggestioni e magnifiche da un punto di vista estetico che riescono a compensare e contribuire a un risultato finale nel complesso soddisfacente e di grande ambizione.Sono molte le connessioni con la vita famigliare dello stesso Carax in questo film che rischia dal primo all'ultimo minuto, senza lasciare mai indifferenti e che conferma il talento unico e cristallino dell'autore de «Gli amanti del Pont-Neuf».
Ottima e toccante la colonna sonora, ma altrettanto significative sono le prove dei due protagonisti, Adam Driver e Marion Cotillard: lui, soprattutto, regala una delle performance più carnali e incisive della stagione, oltre a essere in grado di reggere perfettamente il ruolo forse più difficile della sua intera carriera.Scelto come film d'apertura dell'ultimo Festival di Cannes, «Annette» ha vinto il premio per la miglior regia.
Tra le novità in sala c'è anche il film che ha invece conquistato il premio per la miglior regia all'ultima Mostra di Venezia: «Il potere del cane» di Jane Campion.La regista neozelandese, Palma d’oro a Cannes per «Lezioni di piano» nel 1993, ha scelto di adattare l’omonimo romanzo di Thomas Savage del 1967. Al centro della trama ci sono due fratelli, Phil e George. Il primo è un carismatico allevatore, che incute paura e rispetto alle persone attorno a lui, il secondo un uomo decisamente più timido e insicuro. Quando George porta a vivere nel ranch di famiglia la nuova moglie e il figlio di lei, Phil inizierà a tormentarli finché alcune dinamiche lo renderanno più vulnerabile che mai.
Dodici anni dopo «Bright Star», Jane Campion torna finalmente a firmare un lungometraggio e conferma la sua grande sensibilità registica: ne «Il potere del cane» si sente il tocco dell’autrice soprattutto nel rapporto tra gli esseri umani e l’ambiente che li circonda, oltre che per le sottili dinamiche erotiche che si sviluppano tra i personaggi in scena. Nella prima parte il film fatica non poco a carburare, nonostante l'ottima fotografia, a causa di un copione non troppo accattivante, ma poi cresce alla distanza dando vita ai suoi passaggi migliori con l'avvicinarsi della conclusione. Non tutti i personaggi sono ben sviluppati e approfonditi (George e la moglie in particolare), mentre è scritto in maniera splendida il personaggio di Phil, interpretato da Benedict Cumberbatch, una delle figure più interessanti e sfaccettate di tutta la filmografia di Jane Campion.
Tra le sorprese dell'anno e tra i film da vedere in questo weekend c'è anche «La persona peggiore del mondo» del norvegese Joachim Trier.Una pellicola, che racconta la maturazione emotiva e sentimentale di una trentenne, in cui si mescolano efficacemente vari registri, dalla commedia al dramma, passando per il melò.Grazie a passaggi graffianti e sarcastici, la sceneggiatura costruisce una protagonista ben sfaccettata, credibile e con cui è facile empatizzare.
Attraverso una struttura a capitoli, «La persona peggiore del mondo» regala diversi spunti brillanti e capaci di far riflettere: nonostante la sua apparente semplicità e alcuni momenti altalenanti, è un lavoro incisivo, che offre anche una straordinaria prova d'attrice con la performance di Renate Reinsve, meritatamente premiata come miglior interprete femminile all'ultimo Festival di Cannes.
Infine, una menzione per «Ghostbusters Legacy» del regista Jason Reitman che raccoglie il testimone del padre Ivan, autore dei due cult-movie degli anni Ottanta.Nonostante si provi un amore sincero verso quelle due pellicole e tutto quanto sia costruito come vero e proprio fan service per gli appassionati di quei film, e in generale del cinema fantasy di quel decennio, l'operazione è eccessivamente pigra e un po' scontata per riuscire ad appassionare davvero.Il risultato può essere comunque godibile, ma è un prodotto poco coraggioso e che fa il minimo sforzo per raggiungere gli esiti sperati: da un lungometraggio di questo tipo, ci si poteva aspettare qualcosa di più.
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