di Angelo Flaccavento
Thom Browne (Afp)
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Sfilata come pièce teatrale o come pragmatica seduta di lavoro? Entrambe le opzioni sono possibili e valide, a patto che la proposta moda sia onesta, invece che costumistica, e che lo spettacolo abbia ritmo.
Inclina purtroppo in quest’ultima direzione, nonostante le indubbie capacità, Thom Browne, che sfinisce il pubblico con una chilometrica favoletta gender-bender, adattamento di Cenerentola con morale fluida - nel mondo di Thom Browne… tutte le ragazze e tutti i ragazzi entrano nella scarpa… - che si condensa in un detour tra opera coats, tailoring con pois intarsiati e ancora tailoring, in versione punk. Non mancano i pezzi notevoli, soprattutto nella sezione finale, la più vivace e abrasiva, ma l’eccesso di proposta unito alla irritante lentezza di performance produce una mistura killer che obnubila lo sguardo. Non sorprende che siano le donne designer a schivare il teatro in favore del pragmatismo: lo show come parata di ragazze dall'aspetto sano e radioso che sfrecciano in passerella mostrando abiti pensati per glorificare il corpo invece che mortificarlo dentro idealizzazioni costrittive.
Da Stella McCartney la narrativa è da sempre esattamente questa, unita ad una spiccata coscienza ambientale nella scelta dei materiali. La sfilata si svolge all’aperto, nello spiazzo antistante il Centre Pompidou, ed è l’usuale scarica di energia. Stella ha una indiscutibile abilità nel conciliare i due aspetti della femminilità contemporanea, incline all’agio al maschile come alla seduzione sensuosa: mescola suit sartoriali dai volumi generosi ad abiti luccicanti dalle linee succinte, tute e corsetti, accessoriando tutto con sandali imbottiti, e l'effetto convince nonostante le facili citazioni dal lavoro altrui.
Fa centro Chitose Abe, che da Sacai continua ad asciugare, a sottrarre, a purificare senza rinunciare al gusto dell’ibrido. Questa stagione decostruisce troppi sartoriali maschili - il trench, il militare, la formalità black tie - per ricostruirli in silhouette taglienti ma piene di grazia. Le sue donne hanno carattere, ma non sono aggressive; vestono con una immediatezza che emana forza.
Il debutto parigino di Zimmermann, linea dal successo planetario che in settimana inaugura il quinto monomarca in Italia, a Firenze, è la prova che non sempre la passerella è la scelta vincente. In questo caso, si abbandona l'estetica boho che tante gioia addusse al registratore di cassa per esplorare molte direzioni, dal tailoring ai bustini, e il risultato poco convince, certi che nel retro i bestseller boho ci siano sempre.
Da Lanvin è in corso un cambiamento di rotta. Bruno Sialelli asciuga il tratto, elimina il pop e semplifica, ma è come se l'anima del marchio, già tribolata, fosse al momento divisa tra sartorialità secca e frou frou languido, e non si vede un punto di contatto. C'è del lavoro da fare. Pare Fra Dolcino preso a predicare penitenziagite Kanye West mentre introduce la nona stagione di Yeezy, la linea eponima. La sfilata è segreta, ed è per soli cinquanta ospiti, ma è tutto rumore per nulla. Nonostante il farneticare l’ennesima fashion revolution, e nonostante il coinvolgimento del talentuoso Shayne Oliver sul design, non ci si scosta dal noto: strati melmosi, grandi spalle, piumini protettivi, e tutine annullanti. Chi non ha il volto annullato dalla maschera ha i capelli rasati, e sa tutto, davvero, di millenarismo penitenziale.
Dopo cotanta mestizia la penultima giornata di fashion week vira in totale allegria da AZ Factory, dove il designer residente è Lutz. I segni di Elbaz - volumi, balze, colore, sveltezza - tornano in una versione giusto un po' più cruda, con molto denim e ancor più strass. Si esce sorridendo.
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