di Maria Luisa Colledani
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Seguite la bellezza e troverete la seta. Quel filo impalpabile che lega arte, impresa, storia e tiene insieme l’Italia. Maria Giuseppina Muzzarelli, docente di Storia medievale all’Università di Bologna, si è messa sulle tracce della seta come fossero i sassolini di Pollicino e nel suo Andare per le vie italiane della seta traccia una storia artistica, sociale ed economica del nostro Paese intessuta sulla seta, che «è un viaggio ininterrotto. Senza fine, sulle gambe di uomini e donne di diversa fede e provenienza alla perenne ricerca di condizioni migliori di lavoro, di vita».
Tre sono le fasi storiche: gli esordi della produzione, fra pieno e basso Medioevo, lo splendore del Cinquecento e del Settecento e la ripresa fra Otto e Novecento, dopo le difficoltà della metà del XIX secolo.
Il viaggio parte da Sud, tra Calabria e Sicilia, dove la seta arrivò da Bisanzio, per risalire poi verso Nord, in sette città capitali di bellezza. Basta entrare nella chiesa di San Vitale a Ravenna per venir abbagliati dalla clamide dell’imperatore Giustiniano e immaginare le manifatture seriche del V-VII secolo, veri e propri laboratori d’arte. Com’erano, decenni più tardi, gli atelier di Lucca, dove tutto iniziò grazie a famiglie ebree emigrate da Sud e custodi della fabbricazione di zendadi, quei tessuti leggeri come il vento e preziosi come l’oro. La città è un brulichio di artigiani e laboratori ma verso il ’300 perde il monopolio a favore di Venezia, Bologna e Firenze capaci di attirare maestranze grazie a prestiti senza interessi, case per i lavoratori e laboratori liberi da affitto. Bologna diventa capitale dei veli e degli organzini, anche grazie all’aggiunta della ruota idraulica, a Venezia c’erano i migliori tintori e per capire il mercato fiorentino basta osservare il ritratto che Agnolo Bronzino fa di Eleonora da Toledo con il figlio Giovanni (1545): un trionfo di lusso e raffinatezza.
Questa è l’Italia bella, una storia di bachi, gelsi e fili che si dipanano portando lavoro, ricchezza e meraviglia. A Firenze, come a Prato (da visitare il Museo del tessuto), e così a Venezia (antica tessitura Luigi Bevilacqua), a Genova (manifattura Gaggioli di Zoagli), a Milano, dove una intensiva gelsibachicoltura portò a una fortunata industria serica, o a Napoli, dove, per volere di Ferdinando IV a San Leucio, a 4 chilometri da Caserta, si realizzò una colonia-manifattura che, producendo seta, «promuoveva un nuovo modo di essere comunità».
Oggi i principali produttori al mondo di seta sono Cina e India, seguite da Uzbekistan, Brasile, Corea del Nord e Turchia. Nel nostro Paese (Trentino, Veneto, Friuli, Calabria, Marche), ci sono tanti progetti per rilanciare quest’arte antica non solo perché una corda di seta può sorreggere molto più peso di un cavo in metallo altrettanto spesso ma perché la seta è da secoli l’esperanto d’Italia.
Andare per le vie italiane della seta
Maria Giuseppina Muzzarelli
il Mulino, pagg. 166, € 12
Maria Luisa Colledani
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