di Massimo Calì *
(AP)
3' di lettura
Nelle aziende con cui collaboro ragioniamo di comunicazione, di gestione delle relazioni e delle persone, di processi decisionali in condizioni incerte. Gli effetti di questa pratica quotidiana rafforzano la mia convinzione che siano temi in grado di “cambiare quei mondi” (passatemi la pomposità retorica) e alimentano l’urgenza, anche in questa rubrica, di continuare ad esplorare i contorni pratici della complessità in cui siamo chiamati a muoverci. Recentemente scrivevo di creatività (distinguendola dalla produzione artistica e dall’innovazione) come strumento di allenamento alla complessità, per la spinta che dà alla ridondanza cognitiva (definibile come l’abitudine a elaborare alternative di mondi: più ne “frequentiamo”, più saremo in grado di crearne).
Ci torno con un consiglio di allenamento: leggete Le vie del senso (Garzanti, 2021) di Annamaria Testa, autrice che “si occupa di comunicazione e creatività” (cito, per non tralasciare nulla) tramite consulenza, docenza universitaria, scrittura su libri e blog. Il libro è pieno di ispirazioni. Ciascuno potrà trovarne di proprie, ecco alcune delle mie (non sono tutte, né per forza le più giuste, importanti o utili).
Si comincia con la frase Bella giornata oggi (niente spoiler, c’è nel risvolto di copertina). A partire dal significato letterale di questo “frammento irrisorio” il libro racconta come, nell’interpretazione di un testo, siamo abituati a procedere attraverso: “cotesto (il resto della frase. Del paragrafo. Del capitolo) e contesto: il luogo e l’occasione in cui il testo appare. L’opera omnia dell’autore e la sua reputazione. Altri testi paragonabili di altri autori. Il clima culturale, il momento storico (…)”.
Già l’avvio (non è la prima pagina ma siamo agli inizi) mi ha metaforicamente catapultato nel mio quotidiano ambito aziendale: sempre più il contesto di cui tenere conto per le decisioni e azioni non è solo il vicino di scrivania, o la relazione con il capo ma anche l’impatto sui pari, sui collaboratori, il capo del capo, e spesso tutta l’azienda e oltre (pensate agli ormai tanti casi in cui l’impatto di una singola azione su un singolo cliente rimbalza sui social e in tempo zero diventa imprevedibilmente virale, nel male e nel bene).
E qui torniamo al libro: “il senso di un testo si acchiappa considerando ciò che sta oltre il testo. Se attorno al testo c’è il mondo, a determinarne il senso c’è, in una regressione teoricamente infinita, tutto quanto, in relazione a quel testo, possiamo percepire, sapere, scoprire, intuire o fantasticare del mondo.”“Tutto ciò può apparirci soverchiante”, accenna l’autrice rispetto ai testi. Parallelamente, anche nella quotidiana complessità aziendale, la capacità di contestualizzare è sempre più vitale, per evitare di essere schiacciati da un claustrofobico senso di caos che giustifichi con noi stessi la paralisi (non sapendo esattamente che effetto produrrò, meglio stare fermi) oppure la prima scelta che ci salta in mente (tanto gli esiti non li governo io).
È difficile? Certamente. Rispetto ad un testo, “all’atto condiviso del comunicare, di solito tendiamo a valorizzare la fatica e l’impegno di chi parla o scrive, e a trascurare del tutto la fatica e l’impegno simmetrici di chi legge e comprende, arrampicandosi su per i discorsi” (e questa fatica viene detta con una metafora, che non vi svelo, fulminante). Come ipnotiche e avvincenti, lungo tutto il libro, risultano “le vie del senso” (punteggiature, caratteri, colori, immagini che producono informazione, narrazione, emozione), da percorrere in lungo e in largo alla ricerca di modi per affrontare questa difficoltà.
Analogamente, la difficoltà della nostra complessità quotidiana può essere altrettanta, ma va affrontata. Altrimenti il nostro cervello lo farà in automatico: noi ci convinceremo che abitudini ed esperienza ci fanno andare più veloce, ma fingendo di ignorare che passato e futuro sono contesti diversissimi non produrremo la qualità di pensiero che ci serve. Meglio allenarsi, in logica try&learn, con creatività e ridondanza.
Aver trovato, nei mondi narrati dal libro, alcune conferme e parallelismi con altri che frequento di più, potrebbe anche avermelo fatto apprezzare: sono umano, e come tale soggetto al confirmation bias (trovate anche questo, nel libro). Devo però al libro la ridondanza di avermi portato per territori che (un po’) conosco, passando vicino a cose familiari ma per strade diverse, riuscendo ad indirizzare il mio sguardo verso sentieri ulteriori. E soprattutto, lasciandomi una irrefrenabile curiosità e voglia di viaggiare (prendo a prestito) in “un'indagine che, continuando a confrontare ciò che è permanente con ciò che è mutevole, e con le nuove scoperte dei modi in cui ragioniamo, idealmente non finisce mai”. Vi sembra poco? Buona lettura.
* Partner di Newton Spa
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