di Giulia Crivelli
3' di lettura
Parla inglese con un leggerissimo accento mediterraneo, potremmo dire. Rodrigo Bazan ha origini argentine, ma vive tra Stati Uniti ed Europa da molti anni: fino al 2016 è stato ceo di Alexander Wang, poi è passato alla guida di Thom Browne. Due brand e società che portano il nome dei rispettivi stilisti-fondatori, ma le somiglianze finiscono qui. Il secondo è da sempre molto legato all’Italia e alla cultura artigianale del tessile-moda del nostro Paese e dal 2018 il marchio ha come socio di maggioranza il gruppo Zegna, che quasi quattro anni fa acquisì l’85% di Thom Browne, con il restante 15% rimasto allo stilista. All’epoca il gruppo non era quotato e non fu necessario fornire i dettagli dell’operazione, ma gli analisti valutarono Thom Browne a oltre 500 milioni di dollari. Oggi la cifra sarebbe molto più alta: nel 2021 i ricavi sono cresciuti del 47% a 263 milioni di euro, contribuendo in modo importante al rimbalzo di Zegna, il cui fatturato complessivo nel 2021 è cresciuto del 27% a 1,2 miliardi.
Come si spiega una crescita così forte nel 2021?
I motivi sono tanti, ma legati da un fil rouge, la capacità di Thom, come direttore creativo, di restare fedele e coerente allo spirito che ha sempre ispirato le collezioni, improntate alla qualità totale, come direbbero i giapponesi. Il 2020 è stato difficile anche per noi, ma allo stesso tempo ci ha permesso di concentrarci ancora di più sui dettagli di ogni progetto, oltre che su visioni e strategie di medio e lungo periodo. L’investimento sulle collezioni donna è un ottimo esempio.
Rodrigo Bazan, ceo del marchio Thom Browne dal 2018
È di pochi mesi fa l’apertura del secondo negozio Thom Browne a Milano. Non sono molti i brand con due boutique nel quadrilatero della moda.
Il monomarca di via Gesù resterà dedicato alle collezioni uomo, quello di via Sant’Andrea alla donna. La prima collezione femminile Thom Browne fu presentata a Parigi nel 2014 e da allora non ha smesso di crescere. Lo stile ricorda quello dell’uomo per il tailoring, la scelta di tessuti pregiati e in genere usati nelle collezioni maschili e per l’attenzione ai dettagli, all’artigianalità e naturalmente al made in Italy. Su tutti questi elementi Thom spruzza, per così dire, il suo estro e dagli ingredienti più classici nascono collezioni contemporanee, sorprendenti, a volte un filo dissacranti. Uniche, in ogni caso, nel panorama del lusso globale.
Quanto è importante la componente digitale nelle strategie del marchio?
Nel 2020 aver investito su software, hardware e piattaforme ad hoc ci ha permesso di restare in contatto con tutti i clienti, di organizzare campagne vendite da remoto e di non interrompere alcun progetto legato, ad esempio, alla nascita di nuovi negozi, anche in Paesi dove ancora oggi non possiamo viaggiare liberamente, come la Cina. Allo stesso tempo è stato emozionante e importantissimo tornare, dove possibile e con tutte le cautele necessarie, agli incontri di persona. Non parlo solo di visite in showroom da parte dei buyer dei multimarca e dei department store, bensì di confronto in presenza tra i team dei diversi Paesi e naturalmente penso ai negozi fisici, nei quali crediamo moltissimo, e che restano centrali nella strategia di crescita.
E l’e-commerce?
La distribuzione oggi è multicanale, per definizione. I tre pilastri – wholesale, retail e web - sono vasi comunicanti, i clienti si spostano velocemente dall’uno all’altro e si aspettano, in primis, la stessa atmosfera e gli stessi servizi, pre e post vendita. Ma il negozio fisico resta l’esperienza che più crea un legame, fisico ed emotivo, con il brand. Ecco perché abbiamo aperto molti negozi nel 2021 e altri arriveranno nel 2022. Come per il fil rouge che lega ogni collezione Thom Browne, anche i monomarca hanno dei tratti comuni e distintivi. Eccentrici, di nuovo, come le “veneziane” sulle vetrine, che a prima vista fanno quasi pensare a un negozio chiuso, ma che invitano ad avvicinarsi e sbirciare tra le fessure e poi, naturalmente, ad entrare. Allo stesso tempo però ogni negozio tiene conto della città che lo ospita: quello di Londra è un gemello diverso di quelli di Milano, dove ci sono mobili di design tipicamente italiani, ad esempio.
Giulia Crivelli
fashion editor
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy