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Il negozio diventa esperienza: viaggio nelle boutique post-pandemia

di Chiara Beghelli

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La boutique Dior a Dubai, con interior design firmato da Dimorestudio

La boutique Dior a Dubai, con interior design firmato da Dimorestudio

Spazi pensati come salotti dove coccolare i clienti, più vicini alle loro comunità, con servizi digitali ma soprattutto sempre più sostenibili: ecco come il Covid ha cambiato progettazione e obiettivi delle boutique

22 febbraio 2022
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5' di lettura

Cinquecentodieci Mana, la valuta in corso nel mondo virtuale di Decentraland: è la cifra (pari a circa 1,4 milioni di dollari) investita da Philipp Plein per acquistare un’area dove sviluppare Plein Plaza, polo di negozi e intrattenimento, con galleria d’arte e hotel, dove fare shopping secondo le regole del metaverso.

Un mondo digitale nato proprio durante la pandemia, che ha costretto a prolungate chiusure i negozi fisici e ha spinto la crescita dell’e-commerce. Tuttavia, chi prediceva la fine dello shopping in presenza dovrà ricredersi: i negozi in mattoni e cemento non solo hanno resistito al terremoto del Covid, ma si sono evoluti in vivaci laboratori per raccontare i marchi e stabilire nuovi contatti con i clienti.

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Nell’era dell’e-commerce diventa cruciale il contatto con le persone

«È vero, l’online è cresciuto moltissimo, ma il negozio non perderà la sua centralità – conferma Claudia D’Arpizio, partner Bain & Company –. Offrirà sempre più servizi, i clienti si sentiranno riconosciuti, accompagnati, orientati da personale di vendita sempre più vicino a loro. È lo human touch, l’hi-touch che accompagna lo sviluppo hi-tech. Per questo oggi è fondamentale puntare su una formazione adeguata del personale di vendita, che diventerà pr del marchio». Questi contatti più ravvicinati saranno favoriti anche da un ripensamento degli spazi: «Le persone oggi vogliono essere coccolate, rassicurate, accolte in ambienti che le facciano sentire a loro agio – nota Emiliano Salci, direttore creativo e cofondatore di Dimorestudio, studio milanese di interior design che ha curato progetti retail per marchi come Dior, Lanvin, Pomellato – . Per questo ci sono più spazi piccoli, simili a salotti, che lasciano fuori il caos cittadino e gli squilli del telefono, dove si gusta un caffè o un bicchiere di champagne».

Una tendenza che ha caratterizzato i progetti di Dimorestudio ben prima della pandemia, come dimostra la vip lounge di Fendi Private Suites, realizzato nel 2016 per il flagship store di Roma, un lussuoso appartamento soprastante la boutique di Largo Goldoni e riservato all’accoglienza dei clienti più importanti, tratto distintivo anche di altri progetti recenti, come Browns a Londra e Dior a Dubai, e che si ritroverà nei progetti futuri, come la boutique Dior in arrivo a Doha, in Qatar.

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La boutique Fendi in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano

Spazi intimi e su misura, dove riscoprire la propria città

«Nonostante la pandemia il lusso ha continuato a investire molto nei negozi – spiega Alfredo Zordan, direttore commerciale di Zordan, azienda vicentina che dal 1965 realizza arredi su misura per negozi anche della moda e del lusso –. Gli spazi pensati oggi sono più a dimensione d’uomo, più confortevoli, fanno sentire quasi a casa e offrono servizi individuali e su misura: più salotti, zone confort, ma pure bar». In un senso più ampio, questa diffusa attenzione all’individualità del cliente corrisponde a una più intensa comunicazione con il luogo che ospita il negozio. La tendenza a inaugurare o a valorizzare spazi in città “secondarie” è una conseguenza del drastico calo del turismo verso le città principali di tutto il mondo, che ha portato i brand a riscoprire e stringere il rapporto con i clienti locali.

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Il negozio Bulgari nel Dubai Mall di Dubai

«Le aperture in città minori stanno aumentando – sottolinea D’Arpizio –. Un fenomeno che stiamo registrando per esempio negli Stati Uniti: lì le inaugurazioni dei negozi seguono gli spostamenti dei giovani ricchi, che sempre più lasciano le grandi città verso mete con una qualità della vita superiore, come il Colorado. In Europa ci sarà di certo un ridimensionamento della rete di vendita, proprio a causa del calo dei flussi turistici, come accadrà a Hong Kong, dove la presenza in media di dieci negozi per brand non è più sostenibile. In Cina le città del terzo e quarto livello sono ben servite dall’e-commerce e le aperture si concentreranno sulle destinazioni resort come Hainan, e in generale interesseranno gli aeroporti, dove il travel retail è in forte sviluppo».

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Il nuovo flagship store Dolce&Gabbana di Seul è firmato da Jean Nouvel

Essere concretamente più vicini al territorio che ospita un negozio vuol dire anche valorizzarne la cultura: «Si favorirà sempre di più l’uso di materiali, tecniche e maestranze locali – prosegue Zordan –. Per esempio, in una boutique che abbiamo curato per Van Cleef & Arpels a Lisbona, per il rivestimento dell’angolo bar sono state scelte piastrelle di ceramica artistica locale. La sfida sarà entrare in contatto con un luogo specifico pur restando fedeli al proprio store concept. Ma tutto questo fa allo stesso tempo parte di una strategia di sostenibilità, perché usando materiali locali si evitano inquinanti trasporti, magari da un continente all’altro».

Oggetti vintage e filiera tracciabile: anche questo nel negozio sostenibile

L’attenzione sempre più concreta alla sostenibilità anche dei propri spazi di vendita è un mantra per i brand, un’attenzione che prende forme sempre più numerose e diverse: «Oggi più che mai si ha voglia di cose semplici e di qualità – aggiunge Salci di Dimorestudio –. La pandemia ha riportato alla luce gli oggetti classici, eleganti, che avevamo messo da parte per cercare effetti wow. Oggetti preziosi che donano sicurezza, calma, e che saranno belli e si useranno anche fra dieci anni. In questo senso noi diamo sempre molta importanza a oggetti vintage nei nostri progetti, che non solo hanno una patina e una qualità che l’oggetto nuovo non possiede, ma sono forse i più sostenibili, perché non consumano risorse per essere prodotti».

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Le Café V Louis Vuitton nel flagship di Ginza, Tokyo

Zordan, che è una B Corp dal 2016, ha impiegato due anni per mettere a punto un innovativo strumento che consente di calcolare le emissioni di C02 degli arredi di un negozio: «Valutiamo l’impatto di ogni elemento e passaggio, dai materiali alla loro lavorazione, dall’imballo alla consegna – spiega Alfredo Zordan –. Ogni scelta ha un impatto e può essere orientata. È un importante passo in avanti, perché finora si potevano conoscere solo le emissioni dei consumi energetici. Ora stiamo raccogliendo i dati dai primi clienti e a breve renderemo noto la prima carbon footprint di un negozio completo. Nasceranno nuovi parametri, come le emissioni di CO2 per metro quadro degli arredi, uno strumento che peraltro condivideremo, per favorire l’effetto moltiplicatore del beneficio. E il nostro team dedicato sta lavorando ad altri tool per misurare dati legati alla circolarità e alla salubrità degli spazi vendita».

Il metaverso? Una grande opportunità per comunicare e intercettare nuovi clienti

Persino il metaverso, questo fantomatico ma vivace spazio di vita virtuale, potrebbe essere un inaspettato veicolo di sostenibilità: «Nel metaverso si venderanno prodotti digitali, dunque più sostenibili di quelli fisici – nota D’Arpizio –. C’è molta attenzione da parte dei brand, che lo vedono come una grande opportunità anche per ampliare la platea di clienti ed entrare in contatto con loro». «Al momenti i marchi del lusso sembrano poco interessati a strumenti come il camerino virtuale, mentre c’è molto interesse per le tecnologie Rfid, che raccontano la vita di un prodotto – conclude Zordan –. In futuro nel processo di shopping potranno esserci più contatti con il mondo dell’arte e magari un coinvolgimento più esteso dei sensi, come l’udito e l’olfatto. Le giovani generazioni guideranno ogni cambiamento».

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