di Eliana Di Caro
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Non si sa quasi nulla di loro. Da dove vengano, chi siano i genitori, quanti anni abbiano. Denutriti, impauriti, diffidenti, si esprimono con poche parole di tedesco misto ad altri idiomi. Temono quel che accadrà nella grande casa con il giardino: che cosa hanno in mente quelle signore?, chiedono i loro occhi. Sono apparentemente gentili, ma se poi agissero come le kapò?
Con l’approdo a Lingfield (non distante da Londra), nel 1945, del primo gruppo di bambini sopravvissuti al campo di Terezín, accolti nel cottage messo a disposizione da Sir Benjamin Drage, comincia il libro di Titti Marrone: con maestria e senza cadere nella retorica, racconta l’impresa di Alice Goldberger e delle educatrici che la aiutarono a restituire l’infanzia perduta a 25 piccoli deportati. Pagina dopo pagina, si vivono le inquietudini delle donne che si misurarono con un simile compito, guidate dalla sapienza di Anna Freud , se ne condividono le gioie per i progressi e le graduali risposte dei piccoli, si cede con loro ai momenti di sconforto.
L’autrice ricostruisce le singole storie, le odissee passate tra nascondigli, Lager, orfanotrofi, tratteggia caratteri e attitudini dei bambini (dai tre ai 15 anni), descrive i passaggi cruciali del processo di rievocazione di quanto è loro successo. Non solo. Si sofferma sulle tecniche della psicologia infantile, della pedagogia e dell’arte, in divenire in quella stagione, così come sull’importanza dell’apprendimento dell’inglese, una lingua che avrebbe garantito coesione e segnato una cesura rispetto all’epoca della detenzione.
Il dolore, la fame, la paura, il senso di abbandono, le malattie accomunano le vicende dei bambini, ma ognuno ha una storia a sé e richiede una specifica attenzione. Da Mirjam, che era stata chiusa da sola per due anni in un’angusta soffitta, a Fritz, rimasto per ore con il corpo del padre morto addosso sul treno; da Julius, che a 12 anni protesse quattro sorelline ad Auschwitz, a Charles, «il più infelice di Lingfield»: solo dopo 30 anni riuscirà a parlare del proprio trauma. Non mancano momenti spiazzanti, come quando una mamma accorre al cottage ma poi non se la sente di riprendere il figlio, provata dalle difficoltà economiche e con altre due bimbe da crescere: sceglie di non incontrare Sammy, sotto lo sguardo di Alice che sospende il giudizio di fronte a quel rinnovato dolore. Tra i nomi compaiono anche quelli di Tatiana e Andra Bucci (hanno raccontato la loro storia in Noi, bambine ad Auschwitz, Mondadori 2018), non quello del loro cuginetto Sergio De Simone che purtroppo a Lingfield non arrivò mai.
Le informazioni sulle famiglie d’origine (in gran parte scomparse), e il complicato percorso delle adozioni concludono un racconto intenso, sorretto da una ricerca che incrocia documenti, foto, lettere, e da una scrittura coinvolgente e sorvegliata. C’è tutto l’orrore della persecuzione, in questo libro, ma anche una straordinaria lezione di umanità.
Se solo il mio cuore fosse pietra
Titti Marrone
Feltrinelli, pagg. 224, € 17,50
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