di Francesca Milano
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Ci sono i ragazzi della Finocchiona Cup, c’è la Nuova Kaos che è la prima squadra gay di calcio, c’è Gianni, il primo dirigente di calcio in Italia a dichiararsi omosessuale e poi c’è quel bacio che sconvolse la Serie A. Era il 2002. Bologna e Brescia si sfidavano al Dall’Ara. La squadra di casa vinceva già 1 a 0 quando Carlo Nervo segna in sforbiciata il raddoppio. Qualche giorno prima, in allenamento, il suo compagno di squadra Claudio Bellucci gli aveva detto: «Se segni contro il Brescia ti do un bacio sul naso». Il gol arriva, il bacio pure, ma il naso viene mancato e le labbra di Bellucci finiscono su quelle di Nervo.
È il primo bacio gay della Serie A, anche se involontario, ma apre la strada a una lunga serie di polemiche. E sono state forse proprio quelle polemiche a spingere la giornalista Francesca Muzzi a scrivere il libro «Giochiamo anche noi - L’Italia del calcio gay» (edito da Ultra Edizioni), un volume che raccoglie (dal Nord al Sud) le storie e le difficoltà dei calciatori omosessuali.
«Se quel siparietto con Carlo ha generato tutto quello scalpore, che cosa succederebbe se oggi un giocatore di serie A dicesse che è gay?» Se lo chiede Bellucci, che ha frequentato l’ambiente più machista che possa esistere: quello di uno spogliatoio di calcio. «Penso che il problema sia proprio lì dentro - spiega l’ex calciatore alla giornalista -. Se lo spogliatoio ti accetta, allora è diverso. Ma se non lo fa, è dura per un giocatore omosessuale confessare di esserlo».
L’argomento sui campi di calcio è ancora tabù, ma qualcosa forse si muove. Lo testimoniano le storie raccolte da Francesca Muzzi. Sono storie di provincia, niente fuoriclasse né sponsor milionari, ma tanti ragazzi che amano lo sport e anche altri ragazzi. «Questi ragazzi - scrive l’autrice - non possono ancora dire dentro uno spogliatoio di etero: “Sono gay”, ma hanno formato squadre omosessuali e inventato tornei che negli anni sono cresciuti sempre di più».
Ci sono i calciatori del Revolution Soccer Team, con la loro ironia toscana: quando in campo uno grida all’altro «Prendi l’uomo», il compagno gli risponde «Magari!». Ci sono i Pochos, squadra omosessuale di Napoli formata da ragazzi in cerca di sesso e da altri che volevano solo giocare a pallone. E ci sono i Namb, che poi diventano i King-Kickers e realizzano un sogno: partecipare agli Eurogames, a Barcellona nel 2008. Nel 2019, 17 anni dopo la prima edizione, le “olimpiadi degli omosessuali” si svolgeranno in Italia, a Roma.
«Non so se ho mai giocato con un compagno omosessuale. Se l’ho fatto, non me ne sono accorto», scrive l’ex calciatore di serie A Tomas Locatelli nella prefazione, ammettendo però che l’omosessualità nel calcio è un non-detto pesante. «L’unica soluzione per abbattere queste barriere di cemento armato sarebbe che con coraggio un calciatore famoso e talentuoso facesse coming out».
Quanto siamo lontani da quel momento? Se lo chiede Francesca Muzzi, che con ottimismo riporta le storie di chi ha avuto il coraggio di dire “sono gay” ma con amarezza racconta di un «famoso allenatore» che le ha detto: «Se in serie A i tifosi sapessero che il loro idolo è gay sarebbe una tragedia», declinando l’invito a partecipare al libro. Segno che forse qualche passo in avanti è stato fatto, ma la meta è ancora lontana.
Francesca Milano
Redattore
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