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Le lanterne verdi illuminano la notte ma non bastano

di Aldo Bonomi

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5 aprile 2022
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4' di lettura

Spero che continuino a illuminare i comportamenti sociali le lanterne verdi accesi ai confini tra l’umano e il disumano delle guerre. Un parlamentare europeo mi raccontava che sul confine tra Polonia e Bielorussia, dove già si sentiva il rumore delle truppe di invasione russe, si era usata l’arma della diaspora dei corpi dei profughi afgani e pakistani verso la Polonia. Che aveva reagito militarizzando i confini con il filo spinato. Le lanterne verdi illuminavano le case dei contadini polacchi che oltre il confine lanciavano un messaggio di umanità significante «se ce la fai a scavallare senza essere arrestato ti ospito e ti accolgo». Adesso quelle lanterne alle finestre sono diventate un faro di luce verde per attraversare il confine polacco per milioni di profughi ucraini in fuga dalla guerra. Lì sul confine, la geopolitica ha prima usato i profughi della diaspora della disperazione in fuga da guerre lontane e poi ha prodotto e fatto apparire la moltitudine di bambini, donne e anziani in fuga della diaspora del terrore della guerra in Ucraina, vicina alla porta di casa, in Europa.

L’antropologo Arjun Appadurai ci ha insegnato nel suo Modernità in polvere a confrontarci drammaticamente con le diaspore che sono polvere della modernità quando la guerra produce urbicidio di case e palazzi ridotti in polvere, come vediamo quotidianamente in Tv. Si fugge dalla guerra terrorizzati e disperati per sopravvivere in una diaspora della speranza verso la Polonia, verso l’Europa, terra della speranza per ricominciare a vivere. Per questo spero che quelle lanterne verdi che oggi illuminano la notte della speranza e dell’accoglienza per milioni di profughi, non si spengano mai. Anche se so che interrogano le forme di convivenza di una modernità in polvere da ricostruire nell’epoca delle migrazioni e dei profughi dai deserti ecologici e dalle guerre. Anche da noi si sono accese tante lanterne verdi in una gara di solidarietà per accogliere bambini e donne in fuga dalla guerra. Le stime ufficiali danno numeri vicini agli 80mila in aumento anche per quella rete di diaspora della speranza delle circa 250mila badanti ucraine già presenti nel nostro welfare famigliare che hanno fatto lanterna verde delle loro reti parentali.

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Le passioni della solidarietà da sole non bastano senza interventi istituzionali, da qui il decreto flussi governativo che stanzia risorse e indicazioni per un’accoglienza diffusa, mobilitando Regioni, Comuni e il terzo settore del volontariato e dell’associazionismo. È una risposta di pace che mette le forme di convivenza umane come risposta al disumano di chi, scatenando la guerra, ha prodotto una diaspora dal terrore che l’Onu stima in oltre 10 milioni di profughi ucraini. I flussi della geopolitica di potenza quando si fanno guerra producono morti, devastazione e profughi in esodo dalle guerre che ci entrano in casa, oltre il divano di casa da cui osserviamo la tragedia-spettacolo della guerra. Per il suo spazio di posizione tra l’Europa del burro a nord e quella dell’olio verso il Mediterraneo siamo un Paese esposto ai flussi delle migrazioni epocali: dal crollo del regime in Albania con lo sbarco di una moltitudine al porto di Bari, alle guerre nella ex Jugoslavia, ai conflitti in Libia e in Siria sino a quello dell’oggi in Ucraina. È un susseguirsi di eventi interroganti della diaspora dal terrore a cui si aggiunge la diaspora della speranza verso l’Europa passando o arrivando in Italia, delle migrazioni dalle carestie. Che oggi si presenta drammaticamente come uno scenario possibile nel Mediterraneo per il venir meno del grano ucraino e russo per Paesi come l’Egitto. Basteranno le lanterne verdi che oggi accendiamo tutti alle porte di casa? Non bastano, come non bastarono per la diaspora albanese prima accolta e poi minacciata da un referendum contro l’immigrazione diventata terreno di scontro politico mai sopito, anzi, rinvigorito dalle guerre balcaniche a quella siriana con Lampedusa di fronte ai campi profughi in Libia e l’Europa diventata coperta corta e terreno di confronto politico aspro per la ricollocazione dei profughi e dei richiedenti asilo. È una sfida culturale e politica che la geopolitica in fibrillazione che produce guerre e profughi, scarica sulla società tutta.

Prima di ricominciare a dividerci e a far volare nel dibattito caldo della politica i profughi come stracci che volano, dividendoli per etnia, provenienza e colori della pelle di cui si sentono già distinguo e rumori di fondo, fermiamoci a riflettere partendo dallo slancio positivo e dalla mobilitazione civile in atto nel nostro Paese. Come anni fa convocammo una Conferenza sulle migrazioni per cercar di capire e darci politiche adeguate, cosi è urgente oggi confrontarci tutti, istituzioni e società, sul che fare e come affrontare le diaspore dei profughi in fuga dalla guerra e dalle carestie. Con una speranza. Una Europa mobilitata e mobilitante non solo con risorse per l’emergenza, ma in grado di andare oltre il divisivo confronto sulle politiche migratorie. Sarebbe anche il modo per rappresentarsi come territorio di pace e per la pace. Speriamo…

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