di Sara Monaci
Le banche si sono comprate i crediti, da scontare sulle tasse, ma ad un certo punto si sono fermate rendendosi conto di averne troppi in bilancio
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Undici miliardi di crediti legati ai bonus edili, di cui tre “incagliati”. O meglio, rimasti a metà del guado, richiesti dalle imprese ma non ottenuti dalle banche, o non più richiedibili agli istituti di credito perché nel frattempo le regole del gioco sono cambiate.
A tanto ammonta in Lombardia il conto del noto “110%” e dello sconto in fattura, ovvero quei lavori per il rifacimento facciate o efficientamento energetico degli edifici che hanno permesso ai cittadini di fare dei lavori altrimenti insostenibili economicamente, vendendo i crediti alle banche. Il tema è noto: le banche si sono comprate i crediti, da scontare nel tempo sulle tasse, ma ad un certo punto si sono fermate rendendosi conto di averne troppi in bilancio, lasciando le imprese in attesa di ricevere i pagamenti.
La Regione Lombardia era sul punto di intervenire per correre in soccorso alle imprese, sostituendo di fatto gli intermediari finanziari: intendeva comprare i crediti dalle banche e poi saldare i conti con le aziende, aiutandole a mettersi in pari con i lavori effettuati.
Il percorso però è stato interrotto: prima l’interpretazione del Mef ha respinto le iniziative delle Regioni, definendo questa possibilità come indebitamento nella parte corrente, cosa non possibile nella finanza pubblica; poi il governo ha fermato la prosecuzione di questo tipo di bonus (soprattutto perché non era più sostenibile la misura di compensazione fiscale). Va chiarito che le potenzialità della Regione sarebbero ammontate a 140 milioni all’anno, ovvero il corrispettivo delle imposte che paga (Irap e addizionale Irpef), quindi una cifra relativamente bassa rispetto al fabbisogno reale, per la quale evidentemente non è valsa la pensa proseguire nemmeno con un possibile braccio di ferro con il governo.
Ora però le imprese rischiano di subire un contraccolpo pesante, in tutta Italia e soprattutto in Lombardia, che rappresenta il territorio dove si sono fatti più interventi (a livello nazionale il credito ritenuto bloccato ammonta a 15 miliardi). La Lombardia dovrà valutare, con la prossima giunta che dovrebbe cominciare a lavorare a fine marzo, nuovi strumenti o il potenziamento di quelli già esistenti.
A chiedere un intervento il più semplice e sburocratizzato possibile è la rete di imprese Irene, che aggrega 22 aziende storiche della Lombardia in campo edile, specializzate nel campo dell’efficientamento energetico, che insieme raggiungono un giro d’affari di 300 milioni all’anno, con 130 cantieri aperti. Il presidente Manuel Castoldi sottolinea come sia necessario intervenire sui crediti fiscali bloccati e non liquidati: «Avremmo voluto che la Regione Lombardia intervenisse a comprare direttamente credito fiscale, anche con tutti i controlli necessari. L’impossibilità di usufruire dello sconto in fattura o di cedere il credito avrà l’effetto di bloccare la transizione energetica del paese e contrasta la recente direttiva Ue», afferma.
Per Castoldi questi bonus legati all’edilizia sono stati utili a migliorare gli edifici e a creare un milione di occupati. «È necessario proseguire con l’efficientamento energetico chiesto dall’Europa, la mancata efficienza corrisponde in Italia a una spesa energetica pari a 36 miliardi, che potremmo risparmiare proprio nell’ottica della transizione energetica». La Rete Irene ricorda che al momento i bonus hanno portato modifiche solo al 3% del residenziale privato, pertanto «occorre proseguire, trovando altri strumenti a sostegno dei cittadini, - conclude Castoldi - come del resto il sistema bancario ha sempre fatto anche senza bonus».
Sara Monaci
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