di Nicola Zanella
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Può una fondazione d'arte contemporanea essere un volano di rigenerazione urbana nel territorio dove opera, tanto più se si parla di un territorio degradato? Questa è la domanda che sta alla base della nascita di Made in Cloister (letteralmente “fatto in clausura”), la risposta, positiva, sta nei 10 anni in cui la fondazione ha operato, ricchi di iniziative e di collaborazioni dall'impatto reale e misurabile. Il tutto è partito nel 2012 con l'acquisto ed il restauro del chiostro cinquecentesco di Santa Caterina in Formiello a Porta Capuana a Napoli, che giaceva in condizioni di forte degrado, vittima di eclatanti abusi edilizi.
Negli anni successivi è cominciata una programmazione espositiva dedicata all'arte contemporanea che mette sempre al centro le sinergie con realtà locali, a partire da quelle artigianali. Dietro Made in Cloister, c’è una coppia di imprenditori, Davide De Blasio, ex proprietario di Tramontano, e Rosa Alba Impronta, socia del MAG Group, che oltre ai 2,5 milioni di euro del loro investimento iniziale per l’acquisto e il restauro dell'immobile, sono stati aiutati in piccola parte dal crowdfunding e da altri investitori. E Proprio Rosa Alba Impronta in occasione dell'inaugurazione dell'ultima mostra, l'11 di febbraio, «Composing Bioethical Choices» di Aljoscha a raccontarci della fondazione e della sua mission. Lo stesso giorno ha inaugurato anche la mostra di Anselm Kiefer da Lia Rumma, “voglio vedere le mie montagne - für Giovanni Segantini” (tele da un milione di euro e oltre); Napoli caput Mundi per un weekend con vari collezionisti arrivati da tutta Italia, da Giorgio Mazzi a Giuseppe Caprotti, da Teresa Mavica a Nicole Saikalis Bay, chiamatelo pure indotto, se preferite.
Il programma espositivo è centrale per la fondazione e, quindi, anche il fulcro degli investimenti, circa 300.000 euro all'anno; alla voce ricavi contribuisce in maniera marginale la biglietteria e in maniera più sostanziale l'organizzazione di eventi e il supporto della Regione Campania. Ci parla del progetto e del suo sviluppo Rosa Alba Impronta.
Cosa ti ha spinto insieme a tuo marito Davide de Blasio a fondare Made in Cloister?
La spinta non è partita dall'idea di una collezione bensì dalle relazioni con gli artisti che nel corso degli anni grazie all'incontro ed all'amicizia con Lou Reed e Laurie Anderson, attualmente parte dell'advisory board della Fondazione, abbiamo avuto la fortuna di incontrare. Siamo stati sempre affascinati dalla potenzialità espressive e dalla capacità degli artisti di innovare di accellerare processi di trasformazione. Questo è per la Fondazione Made in Cloister il tema centrale che ci ha portati anche a lanciare nel 2022 interACTION, un progetto espositivo biennale nel quale artisti e artiste di diverse generazioni ed estrazioni dialogano tra loro, con lo spazio e la comunità , non quindi una mostra collettiva ma un processo di interazione.
Tutto è partito da questo vostro desiderio di riqualificare l’area di Porta Capuana, in che modo Made in Cloister ha avuto un impatto positivo sull’area?
L'area nella quale ci troviamo, in pieno Centro Storico, rappresenta un distretto storicamente molto importante per la Città di Napoli, Porta Capuana era l'antica porta di accesso alla città da sempre fortemente multietnica, progressivamente caduta in una condizione di fortissimo degrado sociale ed economico. Nel corso di tutto il XX secolo, con l'abbandono dell'area da parte della nobiltà e della borghesia, che si spostava verso nuove aree residenziali, e la crisi che ha investito il tradizionale tessuto artigianale, l'area è andata sempre più svuotandosi ed impoverendosi sia socialmente che economicamente. Il cinquecentesco Complesso Conventuale di S. Caterina nell'800 era stato trasformato per volontà dei Borbone in lanificio, occupava oltre 400 operai e, proprio all'interno del Chiostro Piccolo, oggi sede della Fondazione Made in Cloister, si confezionavano le divise dell'esercito borbonico.
Con l'unità d'Italia e la fine delle commesse da parte dei Borbone, quello che era stato un fiorente centro di produzione fallisce e viene frazionato in tante piccole attività ai margini della clandestinità ed il Chiostro Piccolo, addirittura viene trasformato in officina meccanica, prima, e parcheggio, dopo. Da questa situazione di degrado è partita la Fondazione Made in Cloister che nel 2011 ha acquisito gli spazi del Chiostro Piccolo e dell'adiacente Refettorio avviando un delicato progetto di restauro e di recupero delle originarie spazialità con l'intento di riconsegnare alla comunità un luogo denso di storia e di ricchezza architettonica e culturale. Ma lo scopo principale era, soprattutto, di avviare al suo interno un intenso programma di attività artistiche e culturali che potessero sostenere la rigenerazione urbana dell'intero quartiere e favorire la creazione di quelle pre-condizioni necessarie allo sviluppo di un'economia sostenibile per l'intera zona. Inizialmente il nostro progetto è stato guardato con sospetto e con il timore che il “cambiamento” sempre porta con sè. Dopo pochi anni però con il graduale “ritorno” della bellezza artistica dello spazio e con l'avvio delle nostre prime iniziative culturali, la comunità locale ci ha decisamente “adottato”. Relativamente all'impatto sul territorio le istituzioni preposte alla vigilanza e al controllo hanno rilevato un sensibile miglioramento delle condizioni di sicurezza della zona ed il graduale allontanamento di una diffusa micro-criminalità che, invece, prima imperava. Inoltre in meno di dieci anni, l'area ha visto, l'insediamento di diverse attività collegate al mondo dell'arte contemporanea (gallerie e studi d'artisti) e al turismo e, persino, un incremento dei valori immobiliari.
Made in Cloister si pone come un hub di collaborazioni trasversali, mi racconti quella con Massimo Bottura? E con le altre realtà napoletane, pubbliche e private?Massimo Bottura è un appassionato di arte contemporanea e quando nel 2019 è venuto al Chiostro per visitare la mostra «Monumenti» di Liu Jianhua ci ha proposto di entrare nel network Food for Soul che all'epoca contava 8 centri sparsi in tutto il mondo. In realtà lo spazio del Refettorio era perfetto per ospitare il progetto di organizzare una mensa dedicata alle persone più fragili e che mettesse insieme la lotta allo spreco alimentare (utilizzando in cucina solo “eccedenze alimentari”) e la cura delle persone. Ne è nata una collaborazione intensa e duratura che contribuisce inoltre a consolidare il rapporto tra la Fondazione e la comunità di Porta Capuana. Nel perseguire i propri obiettivi la Fondazione considera un fattore critico di successo l'interazione in tutte le sue declinazioni. Le collaborazioni quindi con enti del territorio (come il Museo Archeologico Nazionale, il Museo di Capodimonte, Il Museo Madre, la Fondazione Banco Napoli, etc.) e con istituzioni nazionali ed internazionali (come Pentagram, Future City, il MIC, Federculture, etc.) è una “buona pratica” che in questi primi otto anni di attività della Fondazione si consolida e produce effetti importanti attraverso lo scambio delle conoscenze e delle reciproche esperienze e competenze.
Quali sono gli obiettivi per i prossimi anni?
Consolidare la presenza nel territorio riconvertendo nuovi spazi all'interno del Complesso Monumentale di S. Caterina da destinare alle varie attività della Fondazione (promozione di giovani artisti, laboratori artigianali e residenze di artisti). Contribuire in modo sempre più continuo alla riqualificazione dell'area di Porta Capuana mettendo le attività artistiche e culturali al centro di un programma di crescita e di maggiore coinvolgimento della comunità locale dei residenti, sensibilizzare sempre di più le istituzioni locali alla cura dell'area, insomma continuare nel cammino intrapreso seguendo un metodo che non inneschi fenomeni di gentrificazione ma che avvenga insieme alle persone che vivono il quartiere.
Sabato 11 febbraio ha inaugurato la mostra di Aljoscha, ci racconti della mostra e dell’artista?
La Fondazione Made in Cloister, in collaborazione con la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, nell'ambito dell'edizione 2022-2023 di Progetto XXI ha appena aperto al pubblico «Composing Bioethical Choices» di Aljoscha. prima esposizione in Italia dell'artista ucraino-russo, residente a Dusseldorf e nato a Kiev nel 1972. La mostra è frutto della residenza dell'artista a Napoli ed è realizzata attraverso il coinvolgimento della comunità di Porta Capuana, durante i tre mesi di apertura diventerà il cuore di attività creative e culturali per sensibilizzare la società sui temi della violenza e dei conflitti. L'intervento di Aljoscha non sarà esclusivamente all'interno della Fondazione Made in Cloister ma l'artista ha avviato una serie di “incursioni “durante le quali le opere saranno disseminate nel quartiere di Porta Capuana in particolare in alcune edicole votive. La mostra include anche alcune sculture sopravvissute a vari interventi pubblici nonché una documentazione fotografica di recenti installazioni in differenti luoghi dell'Ucraina, scuole, chiese, piazze, che testimoniano il forte impegno dell'artista contro la guerra e la violenza generata dai conflitti.
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