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In Giamaica storie e musica sulle strade gioiose del rum

di Maurizio Maestrelli

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L’ingresso della distilleria Worthy Park, fondata nel 1670

L’ingresso della distilleria Worthy Park, fondata nel 1670

Oltre le spiagge, un viaggio di degustazioni nelle storiche distillerie dell’isola, ma anche per sorprendersi con i sapori della cucina di strada

21 marzo 2023
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3' di lettura

Ci sono due modi per vedere la Giamaica: per il primo basta andare in un’agenzia di viaggi e prenotare in uno dei magnifici resort di cui l’isola è costellata. Il secondo è andarci con Luca Gargano, che però è tutto tranne che un’agenzia di viaggi. Questo signore genovese, dalla faccia di uno che l’oceano sembra averlo attraversato innumerevoli volte in barca a vela, è una sorta di lord protettore dei rum caraibici. Patron della Velier, affermata azienda che si occupa di importazione e distribuzione sul mercato italiano di distillati e liquori, è l’uomo che ha scoperto le ultime botti di rum Caroni nella distilleria di Trinidad ormai chiusa, creando dei “mostri” capaci di strappare prezzi da capogiro nelle aste, l’unico luogo dove ormai sembra possibili acquistarli. Ma è soprattutto colui che, a inizio anni Ottanta, ha iniziato a battere palmo a palmo ogni isola caraibica a caccia di rum, certamente, ma anche di cucina tipica, cultura locale, personaggi rocamboleschi e storie da raccontare.

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Cucina di strada (foto: Matteo Rosa)

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Così, sempre che non si sia scelto il resort di lusso tutto incluso, il viaggio in Giamaica con o sulle orme di Gargano assume un significato unico. La Giamaica, infatti, è molto di più di spiagge bianche, mare stupendo, vegetazione rigogliosa e musica reggae a piè sospinto. Andare per distillerie - oggi ne sono rimaste appena sei, ma all’inizio del secolo scorso se ne contavano oltre un centinaio - è ad esempio una buona scusa per esplorare l’entroterra e provare quella cucina di strada, autentica e popolare, che cancella per sempre qualsiasi Caesar Salad assaggiata in un resort.

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Palme all’ingresso di Hampden Estate

Nei pentoloni in bilico sopra dei semplici fornelli a gas sobbollono la janga, una zuppa di gamberi di fiume, patate, gnocchi di farina e spezie, o la sticky soup, con verdure, carne di maiale, pollo (zampe incluse), fagioli rossi e spezie. Profumate, deliziose e sostanziose. Di prima mattina lungo le strade che attraversano l’isola si può apprezzare il callaloo, uno stufato di verdure a foglia, dagli spinaci d’acqua all’amaranto, e pesce o l’ackee salt fish, il piatto nazionale giamaicano, a base di merluzzo, verdure, spezie e la parte che avvolge il seme di un frutto chiamato localmente ackee (scientificamente si tratta della Blighia Sapida). È una cucina povera, spesso di recupero, sicuramente a kilometro zero ma a dir poco entusiasmante. Come è entusiasmante il rum giamaicano, figlio della storica ed estesa coltivazione della canna da zucchero, se non introdotta sicuramente implementata dagli inglesi dopo la conquista dell’isola nel 1655.

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Barili nella tenuta di Worthy

Di rum in Giamaica se ne è sempre fatto e da molto tempo lo si conosce piuttosto bene anche in Italia. Appleton, oggi di proprietà del gruppo Campari, è forse il nome più noto. La distilleria è visitabile e permette di scoprire ogni singolo passaggio che porta dalle piantagioni di canna da zucchero al bicchiere. Solitamente forti sui blend di varie annate, da qualche tempo a questa parte Appleton ha deciso di andare a pescare tra le sue decine di migliaia di botti accumulate nel corso dei secoli (l’azienda è nata nel 1749) alcuni millesimi riuniti nella Hearts Collection. Tiratura limitata, prezzo conseguente, tempi di acquisto strettissimi.

Ma l’isola nasconde altri gioielli: Hampden Estate, il cui processo produttivo ancestrale e complesso genera rum dall’intensità e profondità aromatica con pochi eguali al mondo. E, ancora, Worthy Park, la più antica distilleria giamaicana, le cui origini risalgono al 1670, che produce rum eleganti e fini, meno “selvaggi” degli Hampden ma rispetto a questi ultimi forse più entry level.

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Le YS Falls

Tra una distilleria e l’altra le attività non mancano: si va da una discesa lungo il fiume Martha Brae su zattere di bambù a un tuffo nelle acque limpide delle YS Falls, da una visita notturna alla laguna bioluminescente a un tour ciclistico in direzione della Blue Mountain, dove si coltiva uno dei caffè più preziosi del pianeta. Ogni sosta, comunque, è come l’apertura di uno scrigno. Sia quello della perfetta organizzazione di Appleton, sia quello della signora che lungo la strada vende un piatto di zuppa o degli uomini che fino a tarda notte cucinano alla griglia il jerk, termine che identifica sia il mix di spezie nel quali le carni vengono fatte marinare sia la tecnica di cottura stessa. E lungo tutto il percorso, quasi come fosse una colonna sonora che scorre parallela alle canzoni di Bob Marley, le distese di canna da zucchero. La pianta che arrivò dall’Estremo oriente, passò lungo le coste del Mediterraneo e volò sopra l’Atlantico per arrivare qui nei Caraibi, per diventare rum. Non a caso, il distillato che maggiormente unisce le persone, il distillato dello stare insieme con gioia. In Giamaica come in Italia.

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