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Nucleare pulito, Eni inaugura l’era della fusione a confinamento magnetico

di Matteo Meneghello

Eni accelera nelle rinnovabili e rivede al rialzo i target

Cfs, lo spin off del Mit controllato dal gruppo di San Donato, conduce in porto il primo test al mondo per «confinare» il plasma - Descalzi: «il risultato dimostra l’importanza strategica delle nostre partnership»

8 settembre 2021
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3' di lettura

Energia pulita e virtualmente inesauribile. Eni compie un primo passo in avanti concreto verso l’avvio dell’industrializzazone del processo di fusione a confinamento magnetico, «lo stesso processo - sintetizzano dal gruppo di San Donato - che sta alla base della generazione di energia nel Sole e nelle stelle».

L’annuncio dei primi risultati su questo fronte arriva dagli Usa, dove Cfs (Commonwealth fusion system), spin off del Mit di cui Eni è principale azionista dal 2018, ha condotto il primo test al mondo del magnete con tecnologia superconduttiva Hts, creando le condizioni per confinare il plasma nei futuri reattori che saranno costruiti per produrre energia. Il cammino è ancora lungo: il primo impianto sperimentale vedrà la luce nel 2025 e solo nel 2031 la tecnologia sarà disponibile. Ma in Eni c’è grande aspettativa per lo sviluppo della tecnologia proprietaria e della piattaforma Usa, nel quale il gruppo di San Donato è intenzionato a mantenere un ruolo rilevante anche nei prossimi step di crescita del progetto.

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«Lo sviluppo di tecnologie innovative è uno dei pilastri su cui poggia la strategia di Eni volta al completo abbattimento delle emissioni di processi industriali e prodotti, nonché la chiave per una transizione energetica equa e di successo - spiega l’amministratore delegato, Claudio Descalzi -. Per Eni la fusione a confinamento magnetico occupa un ruolo centrale nella ricerca tecnologica finalizzata al percorso di decarbonizzazione, in quanto potrà consentire di disporre di grandi quantità di energia prodotta in modo sicuro, pulito e virtualmente inesauribile e senza emissione di gas serra, cambiando il paradigma della generazione di energia. Il risultato ottenuto durante il test dimostra l’importanza strategica delle nostre partnership di ricerca e consolida il nostro contributo allo sviluppo di tecnologie game changer».

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Il test ha riguardato l’utilizzo di elettromagneti di nuova generazione per gestire e confinare il plasma, vale a dire, spiega il gruppo, la miscela di deuterio e trizio portata ad alte temperature da fasci di onde elettromagnetiche, dimostrando la possibilità di assicurare l’innesco e il controllo del processo di fusione. La tecnologia oggetto del test potrebbe contribuire a realizzare impianti più compatti, semplici e efficienti, portando a una riduzione dei costi di impianto, dell’energia di innesco e mantenimento del processo di fusione e della complessità generale dei sistemi, avvicinando la data alla quale sarà possibile costruire un impianto dimostrativo che produca più energia di quella necessaria a innescare la fusione.

«Il test - spiega Francesca Zarri, Director Technology, R&D & Digital del gruppo di San Donato - è il primo dei tre pilastri previsti dalla road map del progetto verso l’industrializzazione. Abbiamo dimostrato che è possibile generare un campo magnetico più elevato possibile e in grado di contenere il plasma che un domani genererà l’energia dal processo di fusione. Il prossimo step, nel 2025, prevede la realizzazione di Sparc, un primo impianto sperimentale a produzione netta di energia e successivamente quella del primo impianto di taglio industriale, Arc». Una volta in produzione, gli impianti «avranno dimensioni paragonabili a quelle di una normale centrale a gas - spiega -, con turbine standard, allacciata a un’infrastruttura elettrica, senza particolari complessità infrastrutturali». La differenza è rappresentata dal combustibile: «una quantità pari a una bottiglietta d’acqua da mezzo litro basterà ad alimentare per un anno una centrale da 150-200 Mw» spiega Zarri.

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Il gruppo Eni è il maggiore azionista del progetto: «ci abbiamo creduto, abbiamo lavorato per introdurre un approccio industriale in un test puramente scientifico - aggiunge la manager -. Il nostro interesse è rimanere protagonisti all’interno della compagine, portando il progetto fino in fondo. Eni - aggiunge - collabora con Mit nel campo dell’energia sin dal 2008, contribuendo a indirizzare le linee di ricerca su tematiche di interesse industriale, anche sulla tematica della fusione, con attività di studio e approfondimento. Siamo entrati a far parte del gruppo iniziale di azionisti di Cfs e dall’inizio del 2018, quando siamo entrati nel capitale, siamo stati una delle prime società dell’energia e siamo ancora una delle poche a credere così concretamente in questa tecnologia, che potrebbe davvero rivoluzionare il paradigma dell’energia».

In parallelo, Eni sta lavorando anche con Enea al progetto Dtt (Divertor Tokamak Test facility) per l’ingegnerizzazione e la costruzione di una macchina Tokamak (una «ciambella» ottenuta assemblando anche in questo caso magneti superconduttori anche se di un tipo diverso rispetto a quelli utilizzati nel test del Mit) dedicata alla sperimentazione di componenti che dovranno gestire le grandi quantità di calore che si sviluppano all’interno della camera di fusione: «È già attiva una supply chain anche italiana per questo progetto - conclude Zarri -, che in futuro si potrà sviluppare ulteriormente. Da quetso punto di vista Eni può far leva su un buon posizionamento».

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