di Francesco Prisco
Inarrestabili Maneskin, "Supermodel" in cima alla classifica Usa
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Adesso che diranno i loro detrattori italici? Dopo la vittoria di Sanremo, dell’Eurovision Song Contest, degli Emas come migliore rock band e una serie di affermazioni internazionali tra cui l’apertura del concerto dei Rolling Stones a Las Vegas, i Måneskin aggiungono un’altra tacca alla loro collezione di primati: sono i primi artisti italiani a vincere gli Mtv Video Music Awards per la categoria «alternative». Tutto merito del video di I wanna be your slave, grazie al quale hanno superato una concorrenza che comprendeva Avril Lavigne (Love It When You Hate Me), Imagine Dragons (Enemy), Machine Gun Kelly (Emo Girl), Panic! at the Disco (Viva Las Vengeance), Twenty One Pilots (Saturday) e Willow and Avril Lavigne (Grow).
«Non ci aspettavamo di vincere. Ci sono molti grandi, grandi artisti qui, quindi è un onore per noi, ovviamente», ha subito sottolineato Damiano, frontman della band salito sul palco del Prudential Center di Newark nel New Jersey con la band per eseguire il nuovo singolo Supermodel. A torso nudo, indossando dei gambali, il cantante si è esibito con un gruppo di ballerine al suo fianco. A luglio, il quartetto rock ha raggiunto per la seconda volta la posizione numero 1 nella classifica Alternative Airplay di Billboard dopo che Supermodel è arrivata in vetta. La prima posizione era stata ottenuta già con la cover di Beggin’, restata in testa per 11 settimane lo scorso ottobre.
Fino a un paio di anni fa, traguardi del genere sarebbero stati impensabili per una rock band italiana. L’assunto era noto: per esportare musica «Made in Italy» dovevi proporre il bel canto, Verdi, Puccini, l’eterno ritorno a Enrico Caruso, la sottile linea tricolore che unisce Pavarotti, Bocelli, il Volo. Al massimo qualcuno si imponeva sul mercato Latin (Laura Pausini) o della dance. Poi è arrivato TikTok, un social che si nutre di musica, trasformando in meme gli artisti attraverso un sistema di distribuzione dei contenuti-canzoni piuttosto disintermediato. I Måneskin si sono trovati perfettamente a loro agio a nuotare in questo mare. Se ci pensate, sempre fino a un paio di anni fa era impensabile pure che sette ragazzi coreani si laureassero miglior band del mondo. E invece eccoteli là i Bts, veri campioni dell’opera musicale nell’epoca della sua riproducibilità su TikTok.
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Se ci riflettete un attimo, l’Italia è una componente fondamentale del successo internazionale dei Måneskin. Qual è il loro pezzo dalle migliori performance nelle classifiche americane e inglesi? Beggin’ dei Four Seasons, la band doo-wop di Frankie Valli, quattro simpatici paisà del New Jersey (se non lo avete ancora fatto, guardatevi il bellissimo film Jersey Boys di Clint Eastwood). È un dato indicativo: il mercato americano accetta gli artisti italiani quando propongono un modello coerente con l'idea che negli Usa hanno del nostro Paese e i Måneskin di Beggin’ sono esattamente quella roba là. Lo hanno capito, tanto è vero che il singolo Mammamia è interamente cantato in inglese fino al verso: «They ask me why I’m so hot, ’cause I’m Italiano». Just like pasta e fasule.
La rivoluzione sessuale nella musica è roba di 50 anni fa: la dobbiamo a gente come David Bowie, Lou Reed, Marc Bolan. Il glam era un genere «fluido» prima ancora che inventassero il termine fluido. I Måneskin si sono appropriati di questo immaginario, griffandolo Gucci, rendendolo di sicuro meno impegnativo e, se possibile, ancora più cool. Si affidano a Nick Cerioni, stesso stylist di Achille Lauro e, quando a Budapest vincono gli Emas, stoccano la politica italiana sulla faccenda Ddl Zan. Rivisitazione del concetto di intellettuale organico ai tempi della comunità Lgbt+.
Se è vero che ancora ci commuoviamo al ricordo di A Star is Born, film in cui Lady Gaga nel 2018 rifaceva una parte che nel 1954 era stata di Judy Garland, questa è l’epoca del revival. E i Måneskin sono una grande revival band. Sono nuovi, proprio perché sono «vecchi»: le loro setlist sono imbottite di cover in stile, il loro brano di maggior successo è, appunto, una cover. Un nuovo ascoltatore, specie se inglese o americano, non deve fare poi questa grossa fatica per conoscerli. Perché già li conosce.
Se ti qualifichi in Champions, investi per rafforzare la rosa in vista della stagione successiva. Se arriva lo scudetto, magari investi ancora di più per piazzarti in alto in Europa. Vale nel calcio, ma la musica non ragiona tanto diversamente: i Måneskin hanno vinto Sanremo un po’ a sorpresa e l'Eurovision Song Contest perché, ormai da qualche anno, era nell’aria che dovesse capitare a un artista italiano. Legittimo, per non dire doveroso tentare la carta del mercato internazionale.
Sony Music, loro casa discografica, ed Exit Music, società di management fondata dall’A&R di Sony Fabrizio Ferraguzzo e Marica Casalinuovo, produttore esecutivo di Fremantle Italia, con lo scopo di gestirli, stanno lavorando benissimo in questo senso. I feat. con Iggy Pop non piovono dal cielo, stesso dicasi per le ospitate dal Tonight Show di Jimmy Fallon o per il ruolo di supporter ai concerti dei Rolling Stones: se ti fanno salire su una «barca» del genere, significa che su di te hanno investito e pure parecchio. Se l’investimento pagherà, ce lo dirà un giudice molto più severo di Manuel Agnelli, secondo cui i Måneskin sarebbero «i Beatles italiani». Un giudice che si chiama tempo.
Francesco Prisco
Redattore
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