di Giovanni Audiffredi
Una fumarola del vulcano Asahidake, nota località sciistica per il fuori pista in Giappone.
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Ci sono persone per le quali – ne abbiamo scelte sette, sottoscritto incluso – quando si tratta di surfare neve fresca o incidere binari su piste battute, l'esperienza interiore e quella esteriore si sommano. La mente e il corpo sviluppano un'energia unica che si manifesta nella discesa che si è convinti essere perfetta, ovvero capace di trasferire quel benessere esistenziale che si raggiunge sempre più di rado con ogni esperienza. Ciascuno ha il suo mezzo per portarsi al vertice: funivia, elicottero, pelli, motoslitta. Ciascuno la sua ora, la sua temperatura ideale, la sua condizione di neve: fresca, barrata, sfatta. Ma riguardando il pendio, sai di averlo sceso e quello che hai provato nel mentre è sintetizzato in puro piacere da condividere. Stefano Colombo, Hervé Barmasse, Matteo Bramani, Giorgio Rocca, Lorenzo Boglione, Kristian Ghedina e infine io, vi raccontiamo dove, come e quando, ne vale davvero la pena.
Stefano Colombo. Global sales marketing manager di Colmar, punta sull'eliski a Thompson Pass, in Alaska.
Su un altro pianeta
Sono solo 900 metri di altezza, ma Thompson Pass in Alaska è scolpito nella mente di Stefano Colombo, global sales marketing manager di Colmar. Terza generazione alla guida del brand che ha vestito l'Italia sulla neve e la nazionale francese di Coppa del Mondo, Stefano è cresciuto sulle piste di Madonna di Campiglio. «Volevo provare un altro pianeta, una diversa consistenza, un posto nel quale muovermi a spanne, senza punti di riferimento, solo la neve. Volevo un'emozione unica da portare dentro per sempre. Così ho scelto l'eliski in Alaska e per giorni mi sono dato del matto. Quando sei in un luogo dove solo l'elicottero può farti sciare, compri un pacchetto di ore di volo. Peccato che le condizioni atmosferiche per utilizzarle non si verificano sempre. Così capita che ti trovi in una giornata di sole con i piloti che insistono per fare più “corse” possibili. Dopo sedici discese, avevo esaurito le forze e mi sono completamente lasciato andare. Sentivo il mio corpo che fluttuava, la neve mi accompagnava, i movimenti erano ancora morbidi e coordinati, scendevo guardando il tramonto che divideva due ghiacciai. Ho pensato: sono felice».
Hervé Barmasse. Alpinista, non vede l'ora di provare la nuova discesa libera sotto il Piccolo Cervino.
Una discesa da brivido
Hervé Barmasse è uno degli scalatori italiani più esperti e celebrati, quarta generazione di guide con zaino, piccozza, sci d'alpinismo e pelli sempre pronte. Cervino. La montagna leggendaria (Rizzoli) è il suo ultimo libro, dedicato all'habitat naturale che predilige, la Gran Becca, sulla quale ha aperto diverse vie. «Eppure voglio sorprendervi, se penso a una pista che mi darà i brividi, l'immagine è quella della nuova discesa libera che sarà inaugurata nel 2023. Con partenza dalla Gobba di Rollin a 3.700 metri, con alle spalle il Piccolo Cervino, e giù fino a Laghi Cime Bianche a 2.800, toccando i 135 chilometri orari, attraversa il Plateau Rosà, cingendo alto quel panettone di rocce e dando vita a una pista unica che parte in Svizzera e finisce in Italia. Una gara con due super salti a un passo dal cielo. Non sono un uomo di velocità e penso che molti atleti dovranno presentarsi allo start dopo qualche giorno di acclimatamento in quota, ma trovo affascinante vedere rinascere il passato con questa competizione su una traccia inesplorata. Quarant'anni fa Cervinia aveva una gara di slalom in Coppa e poi c'era l'Azzurrissimo, il gigante lungo, oggi il Ventina, domani questa nuova avventura».
Matteo Bramani. Vicepresidente di Assosport, nel board di Vibram, ama sciare ad Asahidake, in Giappone.
Attenti a non annegare
Matteo Bramani, vicepresidente di Assosport, è nel board dell'azienda di famiglia Vibram, che produce le suole da montagna più famose del mondo, dove segue lo sviluppo del brand. Suo nonno inventò il “carrarmato” che portò gli scarponi degli italiani in cima al K2. Grande appassionato di freeride, racconta: «Il mio habitat invernale è il Giappone. La bassa percentuale di umidità e le correnti del Pacifico rendono la neve incredibilmente soffice e leggera. Le montagne hanno conformazioni morbide quasi prive di creste e questo evita le valanghe. Si scia tra gli alberi, conifere di larici completamente bianche che creano labirinti magici. Tutto questo è Hokkaidō, isola che fronteggia la costa russa e termina con lo stretto di La Pérouse. A nord-ovest della città principale Sapporo, c'è Asahidake, un vulcano di quasi 2.300 metri con una sola funivia. Da dicembre a marzo, è la porta per il paradiso di un certo modo di fare freeride: il powder slopes totale. Dalle 9 alle 16 si vive nel più completo fuoripista con ottime condizioni di visibilità. Unica cosa, attenzione a non farvi prendere troppo dall'entusiasmo. Io mi sono ritrovato a nuotare nella profondità della neve, praticamente mi tenevo a galla agitando le braccia con la polvere sotto la linea delle spalle. Dico sul serio: si rischia di annegare».
Giorgio Rocca. Sciatore e vincitore di una Coppa del Mondo di specialità, sceglie Crans-Montana, in Svizzera.
Non basta la tecnica
Giorgio Rocca è stato uno dei più forti sciatori italiani di Coppa del Mondo, vincitore di tre medaglie di bronzo in tre edizioni dei Mondiali di Sci e di una Coppa del Mondo di specialità. Ha fondato la sua Ski Academy con sedi a Sankt Moritz, Crans-Montana e Livigno e, di recente, sulle sue vittorie e sconfitte ha scritto un libro, Slalom (Hoepli).
Il ghiacciaio Plaine Morte, a Crans-Montana, Cantone Vallese, Svizzera.
Difficile per lui trovare una pista che provochi un brivido. Eppure, ne ha scelta una, la Bella Lui-Chetzeron, a Crans-Montana: «È un tracciato particolare. Ha ospitato lo Slalom Gigante dei Mondiali del 1987, ha molti punti panoramici per ammirare diverse cime da 4mila metri ed è completamente esposta a sud, che significa massima visibilità e sole. Da oltre 2.500 metri si scende fino in paese. È davvero raro trovare una porzione di montagna battuta così completa. Trovo emozionante il tratto con la roccia esposta che guarda verso la valle di Zermatt, quando si entra sulla traversata del piano di Chetzeron si può scorgere il lago di Ginevra, poi ci sono quasi quattro chilometri di pista molto tecnica con cambi di pendenza, dossi, varianti ripide, non è una cosa per tutti gli sciatori. Così hanno pensato di creare delle giunture più semplici e poco scoscese per permettere ai meno bravi di percorrerla ugualmente. Per me una pista è l'insieme di alcuni valori che raccontano la vita della montagna e permettono di assaporarla. Però è l'intelligenza dell'uomo che l'amministra e sulla Bella Lui-Chetzeron trovo che l'insieme sia davvero perfetto».
Kristian Ghedina. Sciatore e vincitore di 13 Coppe del Mondo, si diverte sulle Tofane, nelle Dolomiti.
Le Dolomiti più velenose
Dove ha imparato a fare la spaccata in volo Kristian Ghedina? La risposta è sulle piste delle Tofane, uno dei più imponenti massicci delle Dolomiti, che separa Cortina d'Ampezzo dall'Alta Badia. Quelle streghe, appisolate nella pietra piene di spaccature e cedimenti, sono state la palestra di uno dei più grandi velocisti del circo bianco, con 33 podi tra Discesa libera e Super G. «Sono sempre state il mio rifugio. Scappavo lì sopra appena potevo, per tornare direttamente con gli sci davanti alla porta di casa, dopo aver attraversato 500 metri di fuori pista tra i prati. Sono le mie montagne, quelle dove c'è il salto sulla pista Vertigine Bianca, che mi hanno dedicato ai Mondiali 2021, quelle dove ho imparato a controllare gli sci, perché a buttarli giù non ho mai avuto problemi. Per me nomi come la Stratofana Olimpica, la Labirinti, la Cacciatori o la Forcella Rossa sono di famiglia, ciascuna ha le sue gobbette, i suoi spigoli, i suoi cambi di pendenza strapiombanti, i suoi anfratti nel bosco, le sue rocce esposte, i suoi canali nei quali infilarsi a bomba, dopo esserti raccomandato. Un giovedì d'inverno, sulle Tofane, dalle 8 di mattina fino alla chiusura degli impianti, lontano dalla ressa dei periodi di festa, è come un master in sci di discesa».
Lorenzo Boglione. Vicepresidente of sales del gruppo BasicNet, si rifugia sui Monti della Luna, in Piemonte.
Un colletto ben stirato
A cavallo tra Cesana Torinese e Claviere ci sono i Monti della Luna, il rifugio di Lorenzo Boglione, vicepresidente of sales del gruppo BasicNet (K-Way, Sebago, Superga, Briko e Kappa, sponsor tecnico della Federazione Italiana Sport Invernali). Quando scende la neve, ci si arriva in soli due modi: impianti o motoslitta. La comunità che abita una quarantina di baite forma un villaggio di appassionati di sci, molto privilegiati. «La più bella, la più significativa e la più difficile è la Colletto Verde. È una pista di rientro dal Monginevro, la fai solo se hai scavallato per sciare in Francia. E la fai una volta sola, sul finire della giornata, perché è l'unico modo di tornare indietro con gli sci ai piedi. Quindi l'aspetti e te la godi. Però attenzione, non è solo la stanchezza delle ore già trascorse, la Colletto è una sirena ingannatrice, non è detto che sia battuta, perché è molto ripida e i gatti della neve fanno fatica. Sono vietati i passi falsi, ci devi pensare bene per non finire a ruzzolare a fondo valle. Però è un simbolo e te la porti dentro per sempre».
Nel ventre della balena
Al confine tra le Alpi Lepontine e le Retiche, come fosse un punto di equilibrio che mette in bolla la base delle montagne, c'è Madesimo. Tra quei boschi e quegli alpeggi, passeggiavano e scrivevano Dino Buzzati e Giosuè Carducci. A quota 2.960 metri ha l'imbuto principale quella che per me è la più seducente delle discese, l'itinerario sciistico del Canalone. È come guardare dentro il ventre di una balena che spalanca la bocca in un dirupo di cui non vedi la fine perché si perde dietro una lingua di rocce e neve. Troppo forte la tentazione di scendere. Le prime curve sono le più difficili. Va verificato il cartello di pericolo valanghe, astenersi dopo il livello 3 perché scendono davvero. A volte è meglio che la pista sia in neve fresca, piuttosto che troppo battuta, perché sbagliare significa capitombolare pericolosamente. Inutile stare sotto la montagna, si rischia solo di finire tra le pietre e quando, a metà, vedete aprirsi la valle, è bene sapere che c'è ancora il Canalino delle Streghe che vi aspetta. Infido e sottile meglio percorrerlo senza pensarci, tenendo la sinistra, lontano dalle rocce. Non guardatevi alle spalle, è la vertigine la vostra migliore alleata. Dimenticatevi di carvare, qui vale ancora la regola del piegamento e della distensione. Scegliete l'andatura e la trasversale che vi permette di essere più continui. E dopo una bella scarpata sbucherete in un toboga molto più dolce, sentendovi un po' eroi, perché il Canalone è finito e voi siete lì a raccontare l'impresa.
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