di Angelo Flaccavento
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I matrimoni scombinati sono spesso i meglio riusciti. Sulla carta il connubio tra Fila, gigante dello sport, e Haider Ackermann, elitario e decadente, suonava balzano assai, e l’idea di presentare nello squallore industriale di Manchester, città nota più per le band cui ha dato i natali e le subculture che ha nutrito che non per l'heritage modaiolo, aveva del nebuloso.
E invece l’incastro è stato perfetto: teso, elettrico, filtrato da una nostalgia lieve come a prendere le distanze dal tecnicismo oltreumano dello sportswear di oggi, con la cornice di una capannone sgarrupato a fare da amplificatore alla accelerata di colori saturi e aciduli, memento dei rave party che qui ancora spopolano.
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È ormai da qualche anno che Fila, storico marchio italiano ormai di proprietà coreana, ha riguadagnato la china a suon di collaborazioni inattese e sconfinamenti poco ortodossi. Il coinvolgimento di Ackermann, talento di rango ultimamente, e ingiustamente, silente, rappresenta l’acme, fino a qui, del percorso: una fusione di identità opposte che eleva lo sport e la performance evitando le cadute street e l’estetica ruvida che a questo punto sarebbero solo deja vu, creando una lingua, al contrario, di dinamica eleganza.
Quel che colpisce nella collezione è la pulizia delle linee, l’energia del colore, la fisicità tesa e presente che è il rimando più diretto e convincente al mondo sportivo. Peccato solo sia un esperimento una tantum: i semi per un percorso più lungo e articolato ci sarebbero.
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