di Matteo Bianchi
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L'eco immortale dell'opera di Giorgio Bassani, il suo stile intransigente, la sua onestà intellettuale sono tornati a New York, all'Istituto Italiano di Cultura, con il seminario “A Man of Letters: Giorgio Bassani in North America”. Il fulcro dell'incontro è stato la presentazione di Anna Dolfi, la maggiore studiosa dello scrittore ferrarese nonché curatrice delle “Poesie complete” (Feltrinelli, 2021).
In quarta di copertina si scorge: “Davvero cari non saprei dirvelo / attraverso quali / strade così di lontano / io sia riuscito dopo talmente / tanto tempo a tornare”.
Il volume in questione raccoglie e scandaglia in progressione l'intero corpus poetico dell'autore, composto tra il 1945 al 1982, da cui emerge un temperamento intimo, autobiografico, con uno sguardo vigile e severo sull'Italia del dopoguerra. Negli anni Settanta Bassani atterrava negli Stati Uniti, invitato in qualità di “visiting professor” nelle università di Indiana, California e in Canada. Qui rimise mano al “Romanzo di Ferrara” e abbozzò i versi di “In gran segreto”, alcuni definiti da lui stesso i suoi “american poems”. La prossima meta di Dolfi, introdotta dalla figlia Paola, presidente della Fondazione “Giorgio Bassani”, e da Valerio Capozzo, sarà il Gabinetto Vieusseux di Firenze.
Con una curatela rigorosa e rischiarante, nelle “Poesie complete” Dolfi segue la penna di Bassani da un'opera all'altra, dentro e fuori da ogni versione rivista, mentre ingloba le stagioni precedenti mutando e perdendo gran parte di sé. A ogni passaggio l'io del poeta rinuncia alla propria soggettività e, nel tentativo di riattraversare Ferrara, proietta in avanti nello spazio e indietro nel tempo immagini sepolte, destinate a riaffiorare istantanee e a svanire per sempre con una rapida accelerazione. Specialmente in Epitaffio (1974) si ripresentano volti e luoghi familiari, per un'ultima volta, ma l'ambiguo chauffeur al volante ha già preso un'altra direzione esistenziale. “Strade ampie deserte / prive affatto di tetti ai lati” accompagnano non solo il passeggero di Rolls Royce e il suo volto volubile (ancora riconducibile alla volontà autoriale), ma anche del vagare solitario, a piedi o in auto, di un individuo che può essere definito in base a ciò che non è, con la netta e drammatica formula privativa del “senza”. Si tratta di un io che non ha più alcuna speranza, che è divenuto il nuovo protagonista di liriche scritte con la convinzione che il nulla sia l'unico destino.
Giorgio Bassani nel suo studio
Si manifesta un io lacerato che preferisce non aprire le stesse epistole alla cui forma, però, affida i suoi testi. Con le lettere apparentemente rivolte a un ‘tu' difficilmente identificabile, Bassani parla a se stesso di tutta la sua solitudine, della noia e dell'attrazione fatale e controversa per la morte. Perduti i luoghi consueti, nel corso di “Lettera” il racconto colloca l'io in un modesto alberghetto tipologicamente simile a tanti altri, soprattutto a quello della tappa finale de “L'airone” (1968). Il protagonista della lirica si accorge che intorno a lui non esiste più né vita né movimento, “nessuno per istrada”, le “porte e le imposte regolarmente sprangate”, appena capisce che ciò che appare perturbante lo riconduce all'intimo, al familiare, all'immagine paterna tramite ciò che è diverso, “un signore brizzolato sulla cinquantacinquina”. Tale figura è, al contempo, l'io poetante e il suo doppio, attraverso il quale l'autore lascia scorgere e poi nasconde le sue proiezioni mentali, le funzioni indicibili dell'essere e del suo linguaggio. “Il no man's land evocato ne “L'airone”, questa landa desolata che si apre appena fuori Ferrara e che Edgardo Limentani percorre e misura inutilmente, è un grande, immenso cimitero: il cimitero del mondo – argomenta Paola Bassani nella “Premessa” – Il no man's land, così caro adesso allo scrittore e che gli ispira questa specie di ansia, di ossessiva visitazione del cimitero, si nutre insomma e soprattutto dell'atmosfera e del gusto, in primis a livello figurativo, allora dominanti negli Stati Uniti”. I
In sostanza, il mutamento della gestione dello spazio generato dalla discesa nelle tombe etrusche presente nel proemio de “Il giardino dei Finzi-Contini” (1962), con l'opzione della verticalità e la conseguente impossibilità di collocarsi lungo la distesa orizzontale della campagna ferrarese, pertinente alle poesie giovanili, nonché l'alterazione del tempo e dello spazio introdotte da “Rolls Royce”, non possono che indurre a puntare su luoghi desolati, che testimoniano lo scempio della natura, il paesaggio ferito, cancellato, a cui tanto era sensibile il Bassani presidente di “Italia nostra”. Sono luoghi che, acquisendo un ruolo paradigmatico nell'ultima poesia bassaniana, diventano simboli della dissoluzione di una realtà decadente. Se, in questa fase, la presenza dell'interlocutore è attenuata, il contesto mostra il suo aspetto più spaventoso: l'abbandono. E le nebbiose “periferie urbane” di “In gran segreto” (1978) sostituiscono definitivamente le “strade ferrate” coi girasoli nelle “Storie dei poveri amanti” (1945).
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