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Nucleare, così il «mal francese» colpisce anche noi

di Federico Rendina

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Un'immagine della centrale nucleare di Flamanville, in Francia

Un'immagine della centrale nucleare di Flamanville, in Francia

6 ottobre 2017
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2' di lettura

Ci risiamo. Le centrali nucleari francesi, egemoni nella produzione elettrica d’oltralpe, ma anche volenterose fornitrici dei paesi vicini, sono sempre più alle corde. Vecchie, dal lentissimo rinnovamento, e per giunta impossibilitate a cedere il testimone ai reattori di nuova generazione, tanto ritardatarie da lasciare sul campo anche i sogni di partecipazione internazionale della nostra Enel, uscita dal consorzio “pilota” Epr di Flamanville, in Normandia, dopo aver constatato i segni del fallimento. La super-nuclearista Francia preda dunque dei ferrivecchi? Pare di sì.

Nel 2016 l’autorità francese per la sicurezza nucleare (ASN) aveva bloccato per lunghe settimane ben 12 reattori fallati. Nei giorni scorsi l’ennesima batosta, con la chiusura almeno fino al 2 novembre di quattro unità della centrale nucleare Tricastin di Drome, per 3600 megawatt di potenza e una produzione annua di 25 terawattora. Le simulazioni aggiornate sui terremoti obbligano a un rafforzamento delle infrastrutture. Poca cosa, sembrerebbe. Ma mentre potrebbe mancare ai francesi il 5% o anche più di potenza elettrica, la ASN ha messo in campo l’ennesima ispezione di altri 12 reattori del colosso francese Edf, sospettati di nuove magagne forse più gravi.

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Problemi loro, ma anche problemi per i paesi che hanno la consolidata abitudine importare dalla Francia partite di elettricità in virtù delle caratteristiche della produzione nucleare, che è scarsamente modulabile e così ci arriva a prezzi scontati specie nelle fasce orarie in cui la richiesta non è al picco. Il “polmone” nucleare francese ansima. Rischia problemi la Svizzera. Si preoccupa il Belgio. Ma in prima fila ci siamo noi italiani. Certo, non tutti fanno autentici scongiuri: i mercati elettrici sono sempre più integrati e i produttori di elettricità nostrani possono intanto brindare, anche se con un po' di cinismo, alle tensioni sui prezzi di riferimento all'ingrosso, che le falle francesi spingono al rialzo in Europa e anche da noi.

A farne le spese rischia di essere il nostro sistema elettrico nel suo complesso, e i consumatori. Su due versanti: quello appunto dei prezzi e quello della sicurezza del sistema. Il mercato ha la sua regola fondamentale: penuria e rischi, specie se in combinazione tra loro, fanno decollare le quotazioni. Penuria perché come si sa dipendiamo non poco dall’interscambio, fatto soprattutto di import, di elettricità francese. Rischi perché il nostro sistema elettrico è proprio al culmine dell’ennesima trasformazione. Continuiamo a essere in una teorica sovracapacità, ma il margine di riserva, ovvero la potenza eccedente effettivamente disponibile per far fronte a richieste in qualche modo impreviste o alle esigenze di supplire a qualche centrale che si rompe o linea elettrica che si interrompe, è tornato ai minimi storici.

Siamo in equilibrio precario. E il “mal francese” dell'elettricità non ci aiuta proprio. A conferma che qualche ripensamento nella nostra strategia sul sistema elettrico è opportuna. A fornirci lumi, e magari qualche rimedio, sarà (si spera) il prossimo varo della nuova edizione (non è la prima) della Strategia energetica nazionale annunciato anche in questi giorni dal ministro dello sviluppo Carlo Calenda.

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