di Roberto Bongiorni
Attentato kamikaze a Tunisi, 9 i feriti
6' di lettura
Situato nel mezzo della centralissima avenue Habib Bourguiba, il teatro municipale di Tunisi è un luogo simbolico. Le scalinate di questo sontuoso edificio decorato di stucchi bianchi, inaugurato nel 1902, sono state uno dei ritrovi preferiti dai dimostranti tunisini nelle settimane della rivoluzione dei Gelsomini, la rivolta contro il dittatore Ben Ali.
Caduto il dittatore, nel gennaio 2012, le scalinate e lo spazio antistante il teatro hanno continuato ad essere un dei luoghi preferiti per gruppi di dimostranti. Che fossero manifestazioni di protesta indette da partiti comunisti, da movimenti della società civile, anche da partiti islamici. Che si trattasse di manifestazioni contro la corruzione, proteste contro il caro vita, o contro il terrorismo, è qui che si poteva ascoltare la voce di molti tunisini.
Il fatto che un kamikaze, una donna, si sia fatto esplodere proprio davanti al teatro non sembra un caso. Forse la donna – una 30enne del distretto costiero di Mahdia, identificata come una salafita di nome Mounia – voleva colpire il luogo simbolo della cultura di stampo occidentale, invisa ai movimenti islamici. Forse voleva colpire il Ministero dell’Interno, a pochi minuti di cammino, ma si è fatta scoraggiare dalle imponenti misure di sicurezza. Forse voleva colpire solo la camionetta della polizia che normalmente sosta sempre davanti al teatro.
Il bilancio, provvisorio, sarebbe di nove feriti (di cui otto poliziotti) , oltre alla kamikaze – subito morta – il cui ventre è stato dilaniato dall'ordigno esplosivo.
Il jihadismo in Tunisia
Per quanto messo in ombra da altre crisi internazionali, il problema del terrorismo jihadista in Tunisia non è stato risolto.
Se da un lato la Tunisia è salutata dai Paesi occidentali come il solo esperimento di successo seguito alle primavere arabe, dall'altro è anche il Paese che ha fornito più aspiranti jihadisti all’esercito dell’Isis. Sarebbero stati almeno 3mila i giovani, perlopiù disoccupati, partiti dalla Tunisia alla volta di Siria e Iraq (ma anche della Libia) per combattere nelle fila dello Stato Islamico o di gruppi qaedisti. Non si conosce il numero dei “retournées”, come li chiamano le autorità tunisine, ma l'impressione è che non siano pochi. Una minaccia, dunque, alla sicurezza di un Paese che divide le frontiere con la Libia, dilaniata da una guerriglia strisciante, e con l'Algeria, il cui governo fatica ad imporre la sua autorità nelle regione più impervie..
2015, l’anno degli attentati
La Tunisia combatte da anni il terrorismo jihadista. Soprattutto dal 2015, che verrà ricordato come l’anno degli attentati. La prima strage in marzo, al Museo del Bardo (24 vittime, quasi tutti stranieri tra cui 4 turisti italiani). Tre mesi dopo sulla spiaggia della città costiera di Sousse un giovane tunisino addestrato in LIbia da movimenti vicini all’Isis portò a termine un’altra carneficina ((38 vittime, quasi tutti turisti stranieri) . In novembre fu il turno di un bus che trasportava guardie presidenziali nel centro di Tunisi (13 vittime).
Dal novembre 2015 è in vigore lo stato di emergenza su tutto il
territorio nazionale, prorogato lo scorso 5 ottobre dal presidente della Repubblica, Beji Caid Essebsi.
La Tunisia è il solo Paese travolto dalla primavera araba ad aver realizzato una transizione democratica credibile e trasparente tanto da meritarsi nel 2014 la menzione di “Paese dell'anno” dall'Economist
Paese «modello» per l’Occidente
Eppure se c'era un Paese assunto a modello dal mondo occidentale come un esperimento riuscito - il solo travolto dalla primavera araba ad aver realizzato una transizione democratica credibile e trasparente tanto da meritarsi nel 2014 la menzione di “Paese dell'anno” dall'Economist - questa era proprio la piccola Tunisia.
In effetti dal gennaio 201, nell'ex regno di Ben Alì si sono tenute già due elezioni politiche ( 2011 a e 2014) ed una presidenziale (2014). Elezioni definite da diversi gruppi di osservatori internazionali come libere e trasparenti. Elezioni dove chi ha perso – e questo non è un dettaglio - ha accettato i risultati. La nuova e moderna (almeno per il mondo arabo) Costituzione, approvata sempre nel 2014, è un modello a cui diversi partiti riformisti della regione si ispirano .
Le cose tuttavia non sono andate come ci si auspicava.
Grande coalizione tra islamici e laici
Sul fronte politico, infatti, la Tunisia ha visto la convivenza nel governo del partito islamico Ennahda, fuorilegge sotto Ben Ali, con Nidaa Tounis, partito “laico” in cui militano anche simpatizzanti dell'ex regime, in un Governo di coalizione nazionale. Un esperimento mirabile e incoraggiante. Ma alla prova dei fatti spesso inconcludente. Al di là delle buone intenzioni dei governanti, l'Esecutivo è stato a lungo paralizzato a lungo. Mentre le leggi approvate dal Parlamento sono state davvero poche. Per contro sono molte, invece, le divergenze e le rivalità tra chi è chiamato a formulare ed approvare riforme strutturali non più rinviabili.
Il ruolo del presidente Essebsi
Ai ferri corti da tempo con il movimento islamico, lo scorso settembre il presidente della Repubblica, Beji Caid Essebsi, ha annunciato la fine di un'alleanza di Governo durata quattro anni tra il suo partito, Nidaa Tunes, ed Ennahda. L’anziano Essebsi, 91 anni, un navigato politico, vuole inoltre rafforzare il ruolo del presidente della Repubblica, che sotto la nuova Costituzione dovrebbe condividere il potere con il primo ministro in un sistema semi-presidenziale. Essebsi è così entrato in contrasto anche con il giovane e ambizioso primo ministro Youssef Chahed, sospeso a sua volta da Nidaa Tounis, ma pur sempre in carica come premier.
Davanti ad una crisi che rischia di innescarne una maggiore, con il pericolo di una sospensione degli indispensabili aiuti internazionali, Ennahda e Nidaa Tunis si stanno riavvicinando. Ma c'è un argomento che li ha sempre profondamente divisi, e che rischia di dividerli ancora: come rilanciare l’economia.
Le difficoltà economiche fanno traballare il Governo
In un Paese dove il numero dei disoccupati è pericolosamente alto, e dove quelle dei laureati senza lavoro lo è ancora di più, il rilancio dell'economia è la priorità per ogni Governo. Per cercare di stimolare l'economia, e portare avanti le riforme strutturali richieste dal Fondo monetario internazionale, alla fine del 2017 il Governo tunisino aveva approvato una legge finanziaria per il 2018, entrata in vigore nel gennaio scorso, che prevedeva corposi tagli dei sussidi energetici (una zavorra sui conti del Paese), con conseguenti aumenti di prezzo per il carburante. Per un Paese dove i mezzi pubblici funzionano male e a singhiozzo, e dove in alcune vaste aree non esistono, la misura ha colpito duramente i bilanci di molte famiglie. Una serie di rincari ha investito anche le assicurazioni, i servizi in generale e ha coinvolto anche l'Iva con una nuova maggiorazione. Manovre estremamente impopolari che hanno contribuito a far esplodere la rabbia dei giovani, giù esasperati per la marginalizzazione e la disoccupazione scesi in strada per protestare.
La piaga della disoccupazione
Oggi la Tunisia, uno dei paesi arabi con il più alto numero (in percentuale) di laureati e di giovani che parlano lingue straniere, ha da tempo un elevato tasso di disoccupazione che non accenna a scendere (anche la kamikaze di ieri era laureata e disoccupata). Nelle zone povere e rurali del sud, i giovani senza lavoro superano la metà della forza lavorativa.
L'inflazione dovrebbe assestarsi quest'anno intorno all'8%, un livello che non si vedeva da 28 anni. Tra le fasce meno abbienti, ma anche tra quella borghesia che si sta via via assottigliando, regna lo scontento.
Eppure le cose potrebbero cambiare in meglio, se solo i partiti di Governo riuscissero a trovare una formula per portare avanti le riforme e far approvare le leggi. Le premesse per la crescita ci sono. Secondo il World Economic Outlook pubblicato dal Fondo monetario internazionale(Fmi), il Pil tunisino crescerà del 2,4% nel 2018 per poi rafforzarsi al 2,9% nel 2019. Certo, per assorbire la disoccupazione servirebbero altri tassi di crescita. Perché il tasso dei senza lavoro, sempre secondo l'Fmi, rimarrà intorno al 15% anche nel 2019, e quindi frenerà lo sviluppo dell'economia.
Il deficit delle partite correnti quest'anno è stimato al 9,6% del Pil, un livello molto anno.Nel 2019 ripiegherà all'8,5%, ancora troppo.
Il malcontento popolare cresce. Anche perché il governo tunisino ha iniziato a mettere in atto le misure anti-terrorismo al confine orientale con la Libia e nelle regioni desertiche del sud. Trincee, reticolati, sistemi di monitoraggio lungo le frontiere per impedire il passaggio di jiahdisti, trafficanti di armi e di uomini. Misure rese possibili grazie ai contribuiti dei Paesi europei. Che rafforzano le istituzioni tunisine ed al contempo infliggono un durissimo colpo al contrabbando di un Paese dove una fascia consistente della popolazione viveva di questo business .
Roberto Bongiorni
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