di Riccardo Ferrazza
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Nel 2015 c’era da affrontare la crisi economica. Sette anni più tardi l'emergenza più grande è la crisi sanitaria innescata dal coronavirus. Nel primo caso la parola chiave era stata “speranza”, nel 2022 il concetto-guida diventa la “dignità”. Sono gli elementi che emergono mettendo a confronto i due discorsi di insediamento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella (pronunciati entrambi il 3 febbraio): un primato che condivide con il suo predecessore Giorgio Napolitano, unico insieme a lui a essere stato eletto due volte al Quirinale. Un intervento di 38 minuti interrotto da 52 applausi per la rielezione. Trentacinque minuti di durata e 40 applausi sette anni prima.
La differenza più evidente emerge dallo spazio riservato alla giustizia. Se nel 2015 il tema era stato toccato in un solo passaggio («garantire la Costituzione significa... che si possa ottenere giustizia in tempi rapidi»), nel 2022 il saluto alla magistratura diventa occasione per un richiamo dai toni perentori alla necessità di «un profondo processo riformatore» e la sollecitazione a recuperare «un profondo rigore». Il tono del discorso diventa solo in un passaggio sferzante ed è quando il presidente della Repubblica chiede al Csm, l’organo di autogoverno della magistratura di cui il capo dello Stato è presidente, di portare a compimento «con immediatezza» le riforme annunciate, «superando logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono rimanere estranee all'Ordine giudiziario».
Nel discorso del 3 febbraio 2022 Mattarella ha sottolineato che «particolarmente sugli atti fondamentali di governo del Paese, il Parlamento sia sempre posto in condizione di poterli esaminare e valutare con tempi adeguati. La forzata compressione dei tempi parlamentari rappresenta un rischio non certo minore di ingiustificate e dannose dilatazioni dei tempi».
Concetti che si ritrovano in quanto detto da Mattarella sette anni fa, quando il Capo dello Stato appena letto aveva parlato della «necessità di superare la logica della deroga costante alle forme ordinarie del processo legislativo, bilanciando l’esigenza di governo con il rispetto delle garanzie procedurali di una corretta dialettica parlamentare». Un tema antico di cui si ritrovano tracce anche nei messaggi di Napolitano.
«Tanti, troppi giovani sono sovente costretti in lavori precari e malpagati, quando non confinati in periferie esistenziali» è l'osservazione dolente targata 2022. Parole in cui risuona il ricordo di quanto osservato dal Capo dello Stato sette anni prima quando aveva parlato del «lavoro che manca per tanti giovani, specialmente nel Mezzogiorno». E tra i «volti degli italiani» aveva richiamato l'attenzione a quelli «dei giovani che cercano lavoro».
La dignità diventa la parola-chiave del discorso del 2022, come il concetto di “speranza” era stato più volte evocato sette anni prima. «Dignità è azzerare le morti sul lavoro, che feriscono la società e la coscienza di ciascuno di noi. Perché la sicurezza del lavoro, di ogni lavoratore, riguarda il valore che attribuiamo alla vita». E qui Mattarella dedica una delle poche citazioni del suo discorso (le altre due sono a David Sassoli, il presidente del Parlamento europeo morto l’11 gennaio scorso, e Monica Vitti, scomparso il 2 febbraio) a Lorenzo Parelli, il giovane 18enne «entrato in fabbrica per un progetto scuola-lavoro» e morto nel suo ultimo giorno di tirocinio.
«Mai più tragedie» come la sua. Nel 2015 un dei passaggi più toccanti era stato quello in cui parlando del terrorismo internazionale, Mattarella aveva ricordato «Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell'ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano».
Riccardo Ferrazza
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