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L’arduo e profondo sorriso di Vincenzo Consolo

di Giuliana Adamo

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(ZUMAPRESS.com / AGF)

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A dieci anni dalla scomparsa un invito alla rilettura dello scrittore dalla lingua espressiva, verticale e vorticosa contro ogni banalizzazione orizzontale e appiattente dell'italiano

2 febbraio 2022
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2' di lettura

A dieci anni dalla scomparsa ricordare Vincenzo Consolo (1933-2012) - con Cesare Segre il miglior scrittore della sua generazione -, può essere fatto nel segno della nostalgia personale e della speranza di un invito collettivo alla sua lettura.

Scrittore, saggista, giornalista. Intellettuale complesso, impegnato, mosso da un'inscindibile unità etica/politica/estetica, andrebbe riavvicinato e letto, oltre il pregiudizio della sua scrittura ardua.

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Labirinto della realtà

Nella sua adesione all'invito di Calvino (1962) a sfidare il labirinto della realtà, sceglie di farlo con coraggio provocatorio coniando una lingua espressiva verticale e vorticosa che si oppone a quella comunicativa, banale, orizzontale e appiattente dell'italiano di uso corrente, disossato e triturato dai mass media. Abbraccia Leopardi che sosteneva che la bellezza dell'italiano consiste nel non essere una sola lingua ma tante.

Le narrazioni storico-metaforiche di Consolo (La ferita dell'aprile, 1963; Il sorriso dell'ignoto marinaio, 1976; Lunaria, 1985; Retablo, 1987; Nottetempo, casa per casa, 1992; Lo spasimo di Palermo, 1998), sono, in realtà, movimenti diversi di un'unica partitura che vede trasfondere dall'uno all'altro stessi temi e motivi (ingiustizia sociale, abusi del potere, lotta di classe, ammutolimento degli emarginati e dei disgraziati) ma con scansione, ritmo e colore diversi via via che dall'iniziale speranza di possibilità di cambiamento, attraverso il farsi musica anche della parola di chi non ne ha diritto (Sorriso, sulle lotte contadine risorgimentali), si approda all'afasia disperata nei confronti di una realtà che non lascia scampo e annienta coscienza e azione (Spasimo, sull'assassinio di Borsellino). La sua scrittura è avvolgente, pulsante, lessicalmente ricchissima. Vi confluiscono tutte le lingue che riguardano questo grande siciliano: latino, spagnolo, italiano, dialetti siciliani della sua terra di storia millenaria; il linguaggio degli autori amati e fondativi: Dante, Cervantes, Leopardi, Manzoni, Verga, Lucio Piccolo.

Fine del neorealismo e avanzata delle neo-avanguardie

Consolo comincia a scrivere in un'epocale crocevia tra fine del neorealismo e avanzata delle neo-avanguardie. Ci si misura e sceglie un percorso di segno opposto ad entrambi. La sua lingua sperimentale è poematica, perchè solo la poesia può ancora consentire una narrazione alla Walter Benjamin, pre-borghese e legata alla sfera dell'oralità. Si schiera contro il romanzo scritto in un lingua piatta e univoca. Detesta qualsiasi banalizzazione scrittoria: gialli e storie scritte da “questi Proust di provincia”.

Il suo plurilinguismo e pluristilismo sono le armi per rendere la complessa, polifonica e dissonante coralità del labirinto-mondo “grande e terribile” (Gramsci). A Consolo non interessano storie private e singolari, la sua attenzione e il suo sguardo sono volte alle realtà storico-sociali relative alla Sicilia che, grazie alla sua penna, si caricano di significazioni metaforiche e valori universali. Nel Sorriso sceglie il 1860 perché gli pare un tempo corrispondente al tempo dell'Italia negli anni Settanta ('68 etc.). In Nottetempo sceglie un argomento degli anni Venti (nascita del fascismo) perché avverte che nel momento di quella sua scrittura ci fossero molti segni corrispondenti ai segni di allora: crisi delle ideologie, nuove metafisiche, settarismi, insorgenza della new age, tutti fenomeni di irrazionalismo che storicamente preludono a forme assolutistiche, “fascistiche di assetti politici”. Appassionato, profetico, profondo, ironico. Da leggere. Anche dai concorrenti dei tanti quiz televisivi spesso ghigliottinati perché… gli manca la parola.

Giuliana Adamo, Trinity College, Dublin


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