di Carlo Marroni
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Maschile. E anziana. Così appare la leadership mondiale – politica, economica, culturale – concentrata negli Stati Uniti, Regno Unito e nei Paesi anglofoni, e nella Unione europea. Un fermo immagine quanto mai statico nel tempo, nonostante via via siano emerse delle varianti di età e genere che potevano far presagire un qualche cambio di rotta, anche vistoso.
Un prezioso strumento di orientamento sulle classi dirigenti europee arriva dalla ricerca condotta da éliteam, gruppo dell’Università Politecnica delle Marche diretto dal nostro collaboratore Carlo Carboni (si veda commento a sua firma in questa pagina, ndr) che in un working paper sintetizza un primo rapporto di una ricerca in corso sulle classi dirigenti europee che terminerà entro dicembre 2022. Il lavoro si incentra su alcuni aspetti curriculari di circa 9mila top leader europei, incluso uno sguardo sul loro posizionamento tra le élite globali, in tutto oltre 24mila curricula. Ebbene dallo studio emerge che le top élite della Ue sono le più numerose al mondo (29,5%) seguite da quelle statunitensi e britanniche. Il pianeta ancora oggi è segnato dalla dipendenza del percorso tracciata dal potere europeo (Ue+Regno Unito 48,3% dei top leader di caratura mondiale) dopo 350 anni di colonizzazione del mondo.
Tuttavia – si rileva – se vengono sommati i top leader residenti in nazioni di lingua inglese nel mondo (Stati Uniti, Regno Unito, Australia e Canada), sono poco più della metà (50,7%) del totale delle super-élite dei principali dieci Paesi del pianeta. I poteri hanno diversi campi d’attività prevalenti anche nell’ambito della triade dei poteri mondiali: negli Stati Uniti, i top leader prevalgono nell’economia (39,1%), nel Regno Unito nella cultura (49,2%) e nella Ue nella politica e nelle istituzioni (35,9%). Questo tratto prevalente – anziani e maschi – come detto era già emerso in passato. Si tratta, anzitutto, di élite prevalentemente di età molto avanzata (la fascia over 70 rappresenta oltre il 54%, mentre quella 56-70 il 32% circa) e in gran parte composte da maschi (l’87,1% del totale). «Gerontocrazia e maschilizzazione sembrano le principali caratteristiche delle classi dirigenti europee» viene rimarcato senza giri di parole, con il record assoluto del Giappone dove il 95% della dirigenza apicale ha più di 55 anni.
In secondo luogo, va evidenziato un livello di formazione piuttosto elevato: i soggetti in possesso di un titolo universitario sono l’80,4%; quasi un terzo del totale (31,5%) ha un PhD. Vi sono tuttavia differenze significative tra Stati e Stati: a esempio, l’élite tedesca ha una quota di persone in possesso di PhD molto più elevata (quasi il 51,9%) degli altri quattro maggiori Paesi europei – Italia, Spagna, Francia e Regno Unito – che spaziano tra il 22% e il 26% circa.
Un terzo aspetto di interesse è il livello d’internazionalizzazione effettiva (curriculare) delle élite europee, individuato a partire dalle esperienze di studio e di lavoro all’estero. Sul piano dei percorsi formativi le élite europee appaiono in prevalenza localistiche: il 77,5% non ha fatto esperienze di studio fuori dal proprio Paese. Tra chi fa esperienze all’estero prevale la tendenza a scegliere destinazioni extra europee (13,2%). Anche a questo proposito vi sono differenze tra Paesi, dato che francesi e britannici tendono meno di spagnoli e italiani a studiare fuori dai propri confini.
Le élite europee risultano, invece, meno localiste per quel che riguarda le esperienze professionali, dove prevalgono in maniera evidente quelle svolte in Paesi extra europei (38,3%) rispetto a quelle in Paesi europei (13,3%). A questo proposito, qui si rilevano alcune differenze: i francesi lavorano meno fuori dalla Francia (46,1%), mentre negli altri quattro maggiori Paesi si registra una marcata propensione (dal 40% al 45% circa) a fare esperienze professionali fuori dall’Europa. In un contesto generale di marcata prevalenza maschile, il campo economico appare il meno femminilizzato in assoluto: le donne rappresentano solo circa il 9 per cento. Nello stesso tempo, se consideriamo la variabile anagrafica, emerge che il settore culturale è maggiormente caratterizzato da ultrasettantenni (62% circa).
Tra i vari elementi analizzati c’è poi una marcata divaricazione tra Paesi ex socialisti e gli altri principali Paesi europei per quanto riguarda la politica. Nell’élite dei primi il campo politico prevale nettamente (64,5% del totale), mentre nei secondi ha una rilevanza secondaria, che spazia dal 21% circa del Regno Unito al 33,9% della Spagna. Il differente peso della sfera politica traccia dunque una netta distinzione tra Stati europei di matrice culturale atlantica e Paesi di matrice culturale ex sovietica, nei quali l’appartenenza alla sfera politica sembra essere ancora un segno di distinzione.
Per quanto riguarda l’Italia, i top leader del nostro Paese con una notorietà internazionale sono perlopiù over 70, sposati, con figli, nati nel Centro-Nord Italia (e Campania). Il loro campo d’azione nell’80% dei casi è in Italia, soprattutto in Lazio e Lombardia (se all’estero: in Regno Unito, Svizzera e Belgio). Vantano esperienze professionali internazionali, maggiormente in Paesi non europei e spesso hanno ottenuto un riconoscimento all’estero. Hanno una laurea magistrale o un Phd, dell’area umanistica, conseguiti in un grande ateneo di prestigio italiano del Centro-Nord. Svolgono una professione soprattutto in campo culturale ed economico e perciò di frequente sono artisti o registi, manager o ecclesiastici, banchieri o finanzieri.
Ora la questione di genere. Sebbene si pensi a una progressiva emancipazione della donna come un processo in atto positivamente nel mondo, negli alti circoli del potere dei dieci Paesi più sviluppati, solo 13 su 100 sono donne. Cinque Paesi, Giappone, Russia, Cina, India e Brasile non vanno oltre il 10% di top leader al femminile sul totale. Gli Stati Uniti, che hanno la composizione più favorevole alle top leader, non raggiungono il 20%, seguiti da Regno Unito, Canada, Australia e dalla Ue, che con 11,7% è sotto la media dei dieci Paesi considerati. Dalla scarsa presenza femminile si passa a quella ancor più limitata e pressoché mancante dei giovani (0-35 anni) tra i top leader: arrivano a un risicato 0,5%: un giovane ogni 200 top leader mondiali. Brasile, Giappone e Canada sono al di sopra della media dei Paesi considerati. In particolare, si osserva che oltre la metà dei top leader (52,5%) ha oltre 70 anni e che la loro incidenza ovunque cresce con l’età, segue il ciclo di vita. Lo conferma il fatto che oltre 8 su 10 top leader hanno più di 55 anni. «Il panorama è la gerontocrazia, ma occorre dare giusto peso alla parola. Il potere è anche nel ciclo di vita di una persona e/o di una famiglia, uno sforzo innovativo protratto nel tempo e spesso ereditato nel tempo. Per questo il potere e la sua valenza simbolica ricadono in larga parte sulla terza età», osserva lo studio di éliteam.
Carlo Marroni
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