di Gianni Rusconi
(REUTERS)
4' di lettura
Pur rientrando nei piani strategici dell’organizzazione, la sua implementazione è ancora lontana. O per lo meno lo è per la maggior parte delle aziende italiane. Stiamo parlando della cosiddetta “trasformazione data driven”, e quindi del ripensamento e dell’ottimizzazione dei processi partendo dall’analisi e dalla gestione intelligente dei dati. Sebbene oltre l’80% delle imprese confermino come tale percorso rientri nei loro piani di sviluppo, ad oggi meno di due su dieci (il 17% per la precisione) hanno completato il processo e portato le informazioni a ricoprire un ruolo centrale nelle dinamiche di decision-making.
Lo afferma una recente ricerca condotta da Denodo (azienda californiana specializzata nel campo delle soluzioni di Data Management) in collaborazione con IKN -Institute of Knowledge & Networking Italy su un campione rappresentativo di oltre 100 imprese. Negli ultimi anni gli ecosistemi di dati sono diventati sempre più strategici per il top management nell’esecuzione delle proprie funzioni e molte organizzazioni stanno imparando oggi a riconoscere l’importanza di passare da un approccio “process driven” a uno “data driven”.
In questo solco, lo studio ha rilevato come il 42% delle organizzazioni abbia già avviato un percorso di trasformazione di questo genere, confermando (nel 41% dei casi) il miglioramento dell’efficienza operativa quale principale driver del cambiamento. Per contro non mancano indicatori di segno negativo: quasi il 70% delle imprese gestisce ancora i dati in modo locale, il 24% si trova ancora nella fase propedeutica all’avvio del processo, solo il 17% segnala l’esistenza di un team centralizzato per la loro corretta gestione e una minoranza riporta difficoltà generiche legate alla trasformazione (il 10%) o non la ritiene funzionale alla propria realtà (7%).
Il quadro che emerge da questi dati mostra dunque una chiara propensione all’adozione di modelli “data driven” ma al contempo anche una generale disomogeneità nei livelli di adozione, segnata in particolare dal timore per la dispersione e la limitata accessibilità dei dati, segnalato come maggiore ostacolo alla trasformazione dal 35% dei rispondenti. I motivi che invece spingono le aziende verso una gestione del business basato sui dati rispecchiano generalmente specifiche necessità riconducibili a esigenze comuni ai diversi settori: oltre alla maggiore efficienza ritenuta necessaria per abilitare un’azienda più agile e veloce e in grado di rispondere alle richieste del mercato, troviamo l’aumento delle opportunità di business (citata nel 17% dei casi), il miglioramento della customer experience (10%) e in misura ancora minore il rispetto delle norme e dei regolamenti, la riduzione dei rischi e l’acquisizione di un vantaggio competitivo.
Non mancano, per contro, una serie di difficoltà che interessano un po’ tutti gli ambiti di intervento, da quello organizzativo a quello culturale e, non certo ultimo, quello tecnologico. Se la dispersione dei dati è vista dalle aziende italiane come l’ostacolo principale, limiti altrettanto importanti sono per esempio la carenza di una struttura dedicata alla gestione dei dati (indicata dal 21% del campione esaminato) e l’eccessiva dipendenza dall’infrastruttura It esistente, che limita la possibilità di un uso in modalità “self-service dei dati (17%).
Altri scogli che le imprese segnalano sulla via della trasformazione data driven sono inoltre la mancanza di un modello semantico unico e che permetta di attribuire un significato ai dati stessi rendendolo esplicito e consultabile (lo ricorda il 14% degli intervistati) e i problemi riconducibili a una cultura del dato ancora poco orientata alla condivisione (evidenziati in un caso su dieci).
Non manca insomma una certa consapevolezza nei confronti della tematica, e non manca soprattutto per ciò che concerne la necessità di un’adeguata data governance, che rappresenta di gran lunga l’elemento imprescindibile per la maggioranza delle aziende, a dimostrazione di quanto sia ritenuto importante non solo l’uso stesso dei dati, ma il fatto che questo avvenga nel rispetto della normativa e delle politiche interne all’organizzazione e attraverso uno specifico percorso di formazione per poter essere attuata.
La gestione dei dati, questo l’assunto che si deriva dallo studio, risulta ancora un traguardo lontano, e in particolare per quanto riguarda l’esistenza di strutture e figure specificamente deputate a questo compito e di regole e metodologie condivise.Senza dimenticare un ultimo, e non meno importante, scoglio che va superato. Un modello di business data driven, e quindi basato sulla massima valorizzazione dei dati disponibili, comporta una gestione accurata degli stessi lungo l’intero ciclo di vita, dalla loro rilevazione fino al consumo da parte degli utilizzatori, ma per rispondere a questo paradigma è richiesto alle aziende un salto di innovazione che spesso è latente.
Lo studio, in proposito, ha rilevato come nel 69% dei casi il reparto IT rivesta ancora un ruolo predominante, catalizzando la responsabilità di selezionare ed eventualmente aggregare i dati per poi consegnarli a chi ne fa richiesta dentro l'organizzazione. E invece, come sottolinea Andrea Zinno, Data Evangelist di Denodo, “solo attraverso una reale democratizzazione del patrimonio informativo, che consenta di fornire le giuste informazioni alle diverse tipologie di utenti, garantendo al contempo sicurezza e governance, si può raggiungere l’obiettivo di un processo decisionale accurato, tempestivo e fondata su un uso sapiente dei dati a disposizione”.
Il processo nelle imprese italiane è avviato, ma sicuramente non sarà di veloce implementazione, almeno fino a quando, dice ancora Zinno, “non si diffonderà una cultura del dato che trovi riscontro nella creazione di policy adeguate e nell’istituzione di strutture organizzative dedicate”.
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy