di Marzio Bartoloni e Francesca Cerati
Covid, verso un vaccino anti-varianti agli over 50 in autunno
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La corsa al nuovo vaccino è già a buon punto: in tutto il mondo ci sono ben 271 studi in fase preclinica, 147 vaccini ai primi test clinici e oltre una dozzina di candidati promettenti.
Ma la cosa più importante è che il nuovo vaccino sarà aggiornato alla variante Omicron che ora imperversa in tutto il mondo.
Si lavora infatti sia a vaccini monovalenti (solo per Omicron e le sue sottovarianti) e almeno bivalenti - ceppo di Wuhan (quello alla base degli antidoti attuali) più Omicron - come stanno facendo tra gli altri anche Pfizer e Moderna con le piattaforme a m-Rna. Con Moderna che sta studiando anche il vaccino unico Covid-influenza e addirittura un “trivalente” Covid-influenza-virus sincinziale. L’altra buona notizia è che se tutto andrà bene ad agosto le prime domande di un vaccino adattato contro più varianti sarà sul tavolo delle agenzie regolatorie europea (l’Ema) e americana (la Fda) e nel caso di semaforo verde la campagna vaccinale con i nuovi antidoti potrà partire già in autunno.
A fare il punto sui nuovi vaccini e le cure contro il Covid è stata il 13 aprile una conferenza stampa della Federazione internazionale delle imprese e delle associazioni del farmaco (Ifpma) che ha riunito i Ceo di alcune delle più importanti Big Pharma. Tra questi anche il presidente e amministratore delegato di Pfizer Albert Bourla: «Spero che entro l’autunno avremo un vaccino per le varianti mutate - ha dichiarato Bourla -. So che anche Moderna ci sta lavorando, stiamo testando differenti vaccini, dosaggi, insomma stiamo sperimentando molti percorsi».
Bourla ha anche sottolineato come si stia lavorando a una durata di protezione più lunga: «Secondo Pfizer un vaccino che dura un anno sarebbe la soluzione ottimale. È molto difficile con questo virus, ma ci stiamo lavorando».
Insomma la ricerca sembra promettere bene anche se il problema è che non sarà facile dimostrare che i vaccini funzionino: il numero di persone che non hanno ancora un’immunità al Covid-19 data dalla vaccinazione o dall’infezione sta diminuendo. E questo potrebbe valere anche per l’aggiornamento dei vaccini già in commercio nel caso non si adottassero gli studi di immonogenicità, come avviene per i vaccini anti-influenzali.
Altro tema su cui si è insistito nel corso del seminario dell’Ifpma ha riguardato sia la sospensione dei brevetti sia la costruzione di infrastrutture vaccinali nei paesi emergenti. «Il problema non è più la scarsità di vaccini, ma di vaccinazione - ha detto Thomas Cueni, direttore dell’Ifpma -. Le forniture di vaccini surclassano la domanda, nel 2021 abbiamo prodotti 11 miliardi di dosi, ma la domanda rallenta e nel primo trimestre dell’anno sono cominciate le cancellazioni degli ordini. Dobbiamo affrontare l’esitazione vaccinale e non si tratta di problemi che si risolvono con la sospensione dei brevetti, sono anzi sorpreso che la questione sia ancora dibattuta vista la cancellazione degli ordini e impianti di produzione che vengono chiusi».
«Dobbiamo lavorare insieme per migliorare le infrastrutture così che anche i paesi emergenti possano assorbire l’offerta vaccinale – ha continuato Bourla -. Noi attraverso il governo Usa abbiamo reso disponibile 1 miliardo di dosi di vaccino ai Paesi più poveri gratuitamente, 800 milioni di queste non possono però essere assorbite dalle campagne vaccinali in questi Paesi, in parte per un alto livello di esitazione vaccinale, ma anche per motivi infrastrutturali: se negli Usa o in Ue per arrivare a un centro vaccinale ci vogliono 15 minuti, in alcuni di questi paesi bisogna camminare per 8 ore».
Sia Pfizer/BioNTech che Moderna hanno annunciato di recente l’intenzione di costruire i propri impianti nei paesi africani. In uno sforzo separato, l’Oms ha creato un centro di formazione per i vaccini mRna che insegnerà agli scienziati dei paesi a basso e medio reddito come costruire e gestire i propri impianti. Ma potrebbero volerci anni prima che questi sforzi diano i loro frutti.
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Marzio Bartoloni
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