di Gianni Rusconi
(AP)
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Di intelligenza artificiale si parla tanto, in alcuni casi anche troppo e a sproposito. È però poco discutibile il fatto che nell’arco del prossimo decennio l’AI conoscerà un processo di democratizzazione tale da renderla pervasiva in ogni ambito (o quasi), esponendo le aziende che non staranno al passo con l'adozione di questa tecnologia al rischio di perdere competitività. A molti leader, inoltre, è sempre più evidente il valore generato dagli algoritmi per rendere più efficienti i processi decisionali e con esso la percezione che l’AI possa anche aumentare l’efficacia dell’organizzazione nel suo complesso e rafforzare team e cultura aziendale.
Un recente studio condotto a quattro mani da MIT Sloan Management Review e Boston Consulting Group (“The Cultural Benefits of Artificial Intelligence in the Enterprise”) ha messo sotto osservazione il rapporto tra l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e i modelli organizzativi, raccogliendo in proposito la testimonianza di circa 2.200 addetti e l’esperienza di una ventina di manager di grandi aziende appartenenti a vari settori (dai media ai trasporti, dalla finanza ai trasporti, dall’abbigliamento al food & beverage) che hanno introdotto a vario titolo soluzioni basate su questa tecnologia, ricavandone vantaggi.
Dal sondaggio è emerso in modo particolare un messaggio chiave: la cultura aziendale e l’intelligenza artificiale si influenzano reciprocamente, e lo provano i benefici direttamente legati all’implementazione di assistenti virtuali, chatbot, robo-software e via dicendo, sia a livello di team che di organizzazione. Gli esperti, in linea generale, hanno identificato una dinamica di interazione continua tra cultura, uso degli strumenti intelligenti ed efficacia organizzativa e l’hanno battezzata “CUE, Culture-Use-Effectiveness”, definendone anche il ciclo vitale: la cultura del team migliora l’adozione dell’AI, quest’ultima migliora l’efficacia del team, che a sua volta va a migliorare la cultura del team.
L’adozione degli algoritmi e dei software robotici non può quindi prescindere dalla cultura e i manager riconoscono la necessità di doverne coltivare l’accettazione da parte di addetti e collaboratori. C’è infatti un problema di diffidenza da superare, diffidenza che può essere causata da mancanza di comprensione (lo dice il 49% degli intervistati) e di formazione (46%), ma anche dalla scarsità di informazioni (34%) o dal loro eccesso (17%), dalla scarsa qualità dei dati (31%) o da aspettative non soddisfatte (20%).
Il secondo elemento della dinamica CUE è l'efficacia: circa il 58% degli intervistati che ha implementato e utilizzato l’AI in azienda ha convenuto che queste soluzioni hanno migliorato le prestazioni del team di lavoro, aiutandoli a prendere decisioni migliori. Nel dettaglio, il 79% dei dipendenti oggetto di indagine è dell’idea che l’AI migliori la vita lavorativa, l’87% vede nella sua applicazione il potenziamento dell’apprendimento collettivo, il 78% maggiore collaborazione, il 65% più chiarezza di ruoli e responsabilità.
Combinare le capacità degli algoritmi con le competenze umane ha portato benefici in realtà H&M e Nasdaq, H&M e Klm, Levi Strauss & Co e Mastercard, McDonald’s e Moderna, PepsiCo e Spotify. Ricorrere in modo sistemico all’AI nei propri processi presuppone però un grande cambiamento culturale dentro le organizzazioni, perché si rende necessario un linguaggio condiviso che porti a chiedersi quali soluzioni implementare e a quali ambiti applicarle. In gioco, come detto, c’è la competitività delle stesse organizzazioni in fatto di velocità (nella risposta alle variabili del mercato) e di generazione di valore.
Grazie all’intelligenza artificiale, e in modo particolare alla possibilità di identificare nuovi driver di performance o di misurare le prestazioni in modo più preciso, il 64% delle imprese ha modificato o affinato in tal senso i propri KPI o ne ha creati di nuovi, spesso accompagnandoli a cambiamenti organizzativi per migliorare la collaborazione fra i team. Se guardiamo alle imprese italiane, il cammino da compiere è ancora lungo.
“L’adozione dell’intelligenza artificiale - come osserva Roberto Ventura, Managing Director and Partner di BCG - rimane ancora limitata rispetto al panorama internazionale, ma è anche vero che le aziende early adopter hanno notato significativi cambiamenti nel modo di operare all’interno dei propri team. L’AI stimola il passaggio a una visione end-to-end della gestione del lavoro, favorendo una maggiore integrazione di processi diversi ad oggi ancora separati tra loro e una maggiore comprensione del ruolo dei dipendenti e dell’impatto delle proprie azioni sull’intera organizzazione”.
La creazione di un ambiente più collaborativo all’interno del team, ha aggiunto ancora il manager, spinge inoltre i dipendenti ad espandere l’utilizzo delle soluzioni di intelligenza artificiale ad altri processi, sia interni che esterni, creando nuove opportunità di crescita per l’azienda. La sfida cui sono chiamati i leader, conclude lo studio, è da oggi in avanti quella di adottare la dinamica CUE su larga scala, guidando il cambiamento dall’alto e sviluppando il linguaggio comune necessario per coinvolgere i dipendenti e ottenerne supporto attivo per adattare nel tempo le soluzioni AI.
Con la giusta attenzione della componente manageriale, il ciclo virtuoso tra cultura organizzativa e uso dell’intelligenza artificiale può quindi portare a un’organizzazione più coesa e in grado di riflettere i valori strategici desiderati. Una volta superata l’idea che questa tecnologia si sostituirà completamente all’uomo e minimizzati i pregiudizi che l’accompagnano, questo l’assunto finale, l’intelligenza artificiale può diventare uno strumento di management per allineare i singoli processi a obiettivi più ampi, come equità e inclusività. In attesa che possa generare anche sostanziali benefici finanziari: al momento solo l’11% delle aziende oggetto di indagine ha attribuito vantaggi finanziari alle iniziative legate all’AI.
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