di Carmine Fotina
(Epa)
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La Strategia per la banda ultralarga, approvata il 25 maggio dal Comitato interministeriale per il digitale coordinato dal ministro per l’Innovazione tecnologica Vittorio Colao, apre in modo chiaro alla «possibilità di mettere a disposizione degli operatori radiomobili ulteriori risorse spettrali» per il 5G. E aggiunge che si può valutare anche «la condivisione delle infrastrutture di rete mobile e dello spettro radio». Insomma, la telefonia 5G viene messa al centro del piano nazionale per la banda ultralarga e finanziata con 2 miliardi di fondi del Recovery plan. Sulle nuove frequenze il dibattito è apertissimo.
L’Italia guarda alla World Radiocommunication Conference del 2023 per destinare al 5G una fetta importante della “mid-band” dei 6 Gigahertz, considerata particolarmente efficiente per il sistema. È all’esito di quest’appuntamento internazionale che si potrebbe concretizzare un’eventuale nuova gara dopo quella del 2018 che costò complessivamente agli operatori licenziatari 6,55 miliardi di euro.
Si valuta anche di attingere a risorse del ministero della Difesa nella banda 3.4-3.6 Ghz ma bisogna capire che spazi reali di manovra restino dopo il bando di gara della Polizia di Stato che lega questa fascia di spettro a un servizio di pubblica sicurezza per videosorveglianza in mobilità e accesso a banche dati. Nel frattempo va assicurato il rispetto dei tempi del processo di migrazione delle frequenze in banda 700 megahertz che devono essere cedute alle Telco dalle emittenti televisive, una partita che si è improvvisamente ingarbugliata.
Ma governo e Authority non guardano solo al modello di business tradizionale che finora ha contrassegnato i meccanismi di concessione nella telefonia mobile. Gli operatori infatti potrebbero essere costretti a ripensare il loro ruolo alla luce dei nuovi usi del 5G nei mercati “verticali”. Anche l’Italia infatti, dopo Germania, Regno Unito e Svezia, sta pensando di assegnare alcune risorse di banda in via esclusiva o con meccanismi di condivisione a usi privati su base locale. In altre parole fabbriche, grandi utilities, porti, ospedali, università potrebbero essere direttamente assegnatari di piccole porzioni di spettro, entro aree circoscritte, e affidarsi poi a provider o gestori solo come fornitori del servizio. Bisognerà però capire se le Telco si sentiranno minacciate per la perdita o condivisione di fette di rete o se sapranno inserirsi con profitto nel nuovo modello di business. L’Authority per le comunicazioni sta studiando la materia e ha recentemente avviato un’indagine conoscitiva relativa all’uso delle licenze per il servizio ai settori industriali che possono avere interesse a controllare in modo diretto e più sicuro tutti i dispositivi collegati in rete in logica internet of things e funzionali al processo produttivo o logistico. Ma anche altri settori, dalla sanità all’agricoltura, potrebbero servirsi di coperture locali per connettere comunità specifiche e delimitate di utenti. Un esperimento di questo tipo si è concretizzato con una rete mobile privata per conto della Protezione civile in Emilia Romagna in occasione del terremoto. Alcune bande di frequenza, come i 26 Ghz, o la fascia 3.8-4.2 Ghz potrebbero prestarsi all’uso, in alcuni casi in condivisione con gli attuali usi.
Indicazioni preziose sulla regolamentazione delle frequenze per il 5G giungeranno anche dal recepimento italiano del nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche in corso in queste settimane. Proprio ieri si sono chiusi i termini per la partecipazione degli operatori alla consultazione aperta sul nuovo Codice: tra i temi in esame «misure regolamentari, modalità di organizzazione e meccanismi di gestione dello spettro radio che possano favorire lo sviluppo di progetti innovativi ed il 5G».
Carmine Fotina
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