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La guaritrice supereroica

di Gianluigi Rossini

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Miu è interpretata da Angela Bundalovic

Miu è interpretata da Angela Bundalovic

Copenhagen cowboy. Il regista di culto, Nicholas Winding Refn, realizza una serie in cui esaspera il suo stile: movimenti di camera lentissimi, neon colorati, attori immobili. Si capisce poco della storia ma l'effetto visivo è stupefacente

16 gennaio 2023
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2' di lettura

Nel 2019 Nicholas Winding Refn, che con Drive e The neon demon aveva definitivamente consolidato il suo status di autore, ha scritto e diretto una serie tv molto originale e molto bella, prodotta da Prime video, Too old to die young, con ritmi lentissimi e neon colorati pulsanti.

Ormai sono molti i registi europei che hanno voluto cimentarsi almeno una volta nell’avventura seriale, ma Refn sembra averci preso gusto, e così a tre anni di distanza torna con Copenhagen cowboy, stavolta su Netflix, a cui va dato atto di aver raccolto una sfida davvero coraggiosa: per quanto il regista danese abbia coltivato con cura il proprio brand, la sua narrativa glaciale e disinteressata alla logica può mettere in fuga anche il pubblico più volenteroso e, allo stesso tempo, la sua tendenza all’estetizzazione sfacciata innervosisce anche un bel pezzo della critica. La trama è fatta di brandelli, di movimenti appena accennati: la protagonista Miu viene venduta come portafortuna alla matrona di una famiglia di gangster albanesi, che spera la aiuti a rimanere incinta. Miu scappa trovando rifugio da una donna cinese, a sua volta ricattata da un’altra gang criminale. I veri antagonisti, tuttavia, non sono i criminali ma dei bianchi arianissimi e vampireschi, esseri non del tutto umani il cui patriarca parla ossessivamente del proprio organo sessuale. La stessa Miu, interpretata dalla poco conosciuta Angela Bundalovic, acconciata come un ragazzo e vestita di una tuta blu che è l’equivalente di un costume da supereroina, è un essere che viene da un altro mondo.

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Ma l’interesse di Copenhagen cowboy è tutto visivo, e Refn mette in campo le sue marche stilistiche: ancora movimenti di camera lentissimi, neon colorati, attori immobili, esplosioni improvvise dei synth di Cliff Martinez. È una composizione di quadri in movimento, spesso di una bellezza tale da far dimenticare tutto il resto. Non siamo allo stesso livello di Too old to die young, ma anche stavolta se ci si abbandona al flusso si viene ampiamente ricompensati.

L’ultimo episodio si chiude con un cliffhanger, poco dopo l’introduzione di un nuovo personaggio (interpretato dalla figlia di Refn, Lola Corfixen): a quanto pare il regista ha già pronto un trattamento per una seconda stagione, vedremo se Netflix sarà disposta a finanziarla.

Copenhagen cowboy, Nicholas Winding Refn, Netflix

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