di Giorgio dell'Orefice
I vigneti a Santo Stefano nella zona di Valdobbiadene
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Che il vino sia il settore di punta dell’agroalimentare italiano è testimoniato da tanti fattori. Di certo il volume di esportazioni (primo comparto dell’agroalimentare con un fatturato 2021 di oltre 7,1 miliardi di euro) che ne fanno anche uno dei “biglietti da visita” del made in Italy sui mercati. Sicuramente la buona tenuta nel corso dei difficili anni della pandemia e la forte ripartenza nel 2021. Ma alla fine il vino è un settore di punta per i suoi “fondamentali” e cioè perché è un comparto nel quale si continua a investire. Si investe in marketing, in tecnologia, in promozione e distribuzione ma soprattutto si continua a investire nell’asset primario: nei vigneti. Secondo i dati dell’Osservatorio del Vino dell’Unione italiana vini a fine 2022 il vigneto Italia dovrebbe toccare quota 677.549 ettari con una crescita negli ultimi cinque anni (2016-2021) di oltre il 4,9% (pari a ben 31mila ettari).
Il potenziale produttivo italiano – spiegano all'Osservatorio del Vino Uiv – è così tornato ai livelli precedenti la grande campagna di estirpazione dei vigneti avviata da Bruxelles con l’Ocm vino del 2007-08 quando in Europa furono “rottamati” circa 200mila ettari di vigneti per ridurre i volumi di produzione e adeguare l’offerta di vino europeo al mercato. Da allora Bruxelles ha anche definito il regime delle autorizzazioni all’impianto (che ha sostituito le vecchie licenze) e che prevede la realizzazione di nuovi vigneti in ogni Paese in misura pari all’1% del potenziale produttivo nazionale (in Italia circa 6-7mila ettari l’anno).
A tirare la volata dei nuovi filari i due grandi fenomeni enologici del Nord Est: Prosecco e Pinot Grigio. D’altro canto, negli ultimi cinque anni Veneto e Friuli Venezia Giulia sono di gran lunga le regioni nelle quale si è piantato di più con 13.528 ettari in Veneto e 4.264 in Friuli.
Ma non solo. Dai dati dell’Osservatorio Uiv emerge che la voglia di vigneti è diffusa in tutto il Paese. Dopo gli espianti dei primi anni 2000 si è tornato a investire in Puglia (3.773 ettari tra il 2016 e il 2021), in Abruzzo (2.441), in Toscana (1.959), in Emilia Romagna (1.654), ma anche Marche (940), Piemonte (833), Sardegna (686), Campania (453). Da sottolineare il dato della Sicilia che con 99mila ettari è la seconda regione per numero di vigneti alle spalle del Veneto (100mila). Dato stabile rispetto a cinque anni fa. Insieme Veneto, Sicilia e Puglia (con 90mila ettari) rappresentano oltre il 42% dei vigneti italiani.
«A fare da traino – spiegano all’Osservatorio Uiv – oltre a Prosecco e Pinot Grigio, alcune varietà in parte nuove che si stanno affermando sui mercati. È il caso del Primitivo in Puglia ma anche di Pecorino e Passerina in Abruzzo e del Pignoletto in Emilia Romagna».
«Altro aspetto – ha aggiunto il segretario dell'Unione italiana vini, Paolo Castelletti – è che in questi anni si sono sostituiti vigneti di collina con filari in pianura. Va detto che le nuove superfici vitate sono molto più performanti con alte rese, irrigazione e raccolta meccanizzata. Il fatto di avere oggi vigneti molto più efficienti rispetto a pochi anni fa è un aspetto da gestire e monitorare con attenzione altrimenti rischia di diventare un boomerang. Negli ultimi anni abbiamo avuto vendemmie penalizzate da gelate primaverili e siccità, ma basta un andamento meteo più regolare per far registrare un boom produttivo che nel giro di pochi mesi può penalizzare le quotazioni dei vini vanificando in parte gli sforzi fatti con i nuovi investimenti».
Giorgio dell’Orefice
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