di Leopoldo Benacchio
Hubble individua la stella più lontana mai vista
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Una frase attribuita ad Albert Einstein recita che la scoperta scientifica è 1% intelligenza o genio e 99% lavoro e sudore. È così, certo, però anche la fortuna a volte aiuta, e parecchio. È quello che è successo al team di astrofisici dell'Università John Hopkins di Baltimora che sono riusciti, proprio grazie a un particolare effetto previsto dalla teoria della Relatività Generale, ad avere l’immagine della stella più lontana e antica mai vista, a 12.9 miliardi di anni luce da noi. Il che significa che la luce che il telescopio spaziale Hubble, che da più di 30 anni ci regala scoperte importantissime e immagini stupefacenti, ha registrato è partita quasi 13 miliardi di anni fa, quando l'universo aveva solo 700 milioni di anni o giù di lì, praticamente all'inizio della nostra storia.
Intendiamoci, l'immagine non è di quelle che siamo abituati a vedere prese da Hubble, colorate, con grandi forme affascinanti e inquietanti a volte nubi di polvere cosmica a cui continuano a formarsi altre stelle, ma è semplicemente quella di un pallido puntolino triplo nell'immensità dell'universo appena formato.
La stella, nominata Earendel, nome che in un inglese antico significa “lucente”, e appare anche nell'universo del Signore degli Anelli, è almeno 50 volte più massiccia del nostro Sole, anche se a vederla nell'immagine sembra una pallida lucina, ma la distanza è mostruosa possiamo ben dire, e la sua luminosità potrebbe essere centinaia di migliaia di volte quella del Sole. Questi peraltro potrebbero essere valori anche molto conservativi e i valori veri si sapranno con ulteriori studi, magari eseguiti, come spera Brian Welch, leader del gruppo di ricerca, con il nuovo telescopio spaziale James Webb, ben più grande e potente del glorioso Hubble Space Telescope.
Earendel toglie il record di stella singola più lontana conosciuta a quella denominata Icarus, come l'eroe mitologico, sempre scoperta grazie al Telescopio Spaziale Hubble nel 2018, che sta a soli, per così dire, 4 miliardi di anni luce da noi, quindi ben più avanti nella storia ed evoluzione dell'universo (non siamo contemporanei, ma vicini sì) rispetto alla nuova stella scoperta.
Ci si può chiedere cosa ci sia di tanto strano nell’osservazione di una singola stella, per quanto lontana nel tempo e nello spazio, quasi fino a sfiorare il Big Bang, il grande inizio. L'effetto che dobbiamo tirare in ballo è il lensing gravitazionale: se vogliamo dirla in modo più semplice è l'effetto di amplificazione e ingrandimento del segnale luminoso e dell’immagine di una stella dovuta a una straordinaria concentrazione di massa presente fra noi e la stella stessa, che funge, grazie alla Relatività generale, da lente di ingrandimento.
Se è ancora un poco ostico proviamo a dirla così, per la strepitosa teoria formulata da Einstein, lo spazio e il tempo sono fra loro dipendenti, formano, se vogliamo visualizzare, una specie di tessuto, con ordito e trama. Il tutto esiste semplicemente perché le masse, come pianeti, stelle e galassie, si collocano sopra di lui, come una boccia sopra appunto un tessuto. Fra noi e l'oggetto stellare appena scoperto, si mette di mezzo un ammasso di galassie, ovvero una concentrazione di decine di galassie in uno spazio ristretto, sempre parlando di distanze cosmiche, e ogni galassia contiene, come la nostra, 100 miliardi di stelle. A questi livelli, anche facendo i conti a spanne come stiamo facendo, l'attrazione gravitazionale di tutta quella massa è spaventosa e devia la luce, amplificandola e facendoci vedere quello che c'è “dietro”. Per questo riusciamo a vedere questa nuova lontanissima stella, anzi vediamo lei e due altre immagini spurie create dallo stesso effetto. Ora si tratta di capire se il puntolino pallido scoperto grazie ad Hubble sia veramente una sola singola stella o un piccolo gruppo di stelle: grandi passi avanti nella scienza richiedono conferme.
La scoperta non ha solo il valore di un record che ha scalzato alla grande il precedente, ma ha anche un altro importante valore scientifico e apre un nuovo campo di ricerca, del tutto inesplorato, anzi, finora, non esplorabile. È quello dello studio delle primissime stelle, che gli astronomi chiamano Popolazione III, che sarebbero composte praticamente solo da Idrogeno ed Elio, gli elementi chimici più semplici esistenti fin dal Big Bang. Potrebbero essere queste stelle molto, molto vecchie che hanno elaborato i primi elementi chimici da cui si sono formate le altre più giovani, che a loro volta hanno elaborato al loro interno gli elementi chimici, come il calcio per esempio, che sta alla base delle nostre ossa.
Insomma portiamo la storia dell'universo dentro la nostra pelle, e Earendel ci aiuterà a capire ancora meglio come siamo arrivati a questo punto.
Leopoldo Benacchio
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