di Carlo Melzi d'Eril e Giulio Enea Vigevani
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Legislatori, autorità e studiosi reclamano interventi del potere pubblico, si chiami esso Italia o Europa, per impedire la circolazione di notizie false o ingannevoli e per disciplinare un mondo, quello della comunicazione via social, che se lasciato senza regole porrebbe in pericolo la stessa democrazia.
In questo filone si colloca anche il nuovo libro di Antonio Nicita, Il mercato delle verità, appena uscito per il Mulino. Lo studioso, ordinario di politica economica alla Lumsa ed ex commissario AGCOM, vede nella realtà digitale che ci circonda un ambiente ostile, nel quale l'utente crede di muoversi liberamente, ma in realtà è guidato dall'algoritmo che gli mostra quanto è deciso in un opaco altrove.
Se non vi sono interessi oscuri da assecondare, il sistema tende a ricondurre l'utente dove è già stato, sicché chiunque si trova a interagire in “bolle” ove regna un pensiero unico, privo di controcanti, destinato a radicalizzarsi. Questo fosco orizzonte dimostra il fallimento del libero mercato delle idee, in base al quale nel confronto aperto, l'opinione migliore emergerebbe, grazie al potere di convincere il maggior numero di persone. Oggi, viceversa, nel – così battezzato – “mercato delle verità”, non vi sarebbe alcuno scambio di opinioni; ogni gruppo, chiuso in se stesso, crede di essere portatore del vero da imporre agli altri.In un simile contesto, sarebbe facile e frequente, per mobilitare la pubblica opinione, iniettare informazioni inventate nell'ecosistema informativo. Qui, in assenza di contraddittorio, le falsità non sarebbero riconosciute né espulse, ma anzi metabolizzate dal gruppo “bersaglio”, contribuendo a estremizzarlo.
Nel leggere questa analisi, temevamo che Nicita auspicasse misure preventive per eliminare la menzogna, pur priva di immediate conseguenze sui diritti individuali. Il tutto in nome di un'emergenza – quella informativa – che produrrebbe conseguenze drammatiche in democrazie sempre più fragili e incerte. Non è così, ma ci arriveremo.Il volume ha tanti meriti, il primo dei quali deriva dallo spessore culturale dell'autore, che ha la rara capacità di far calare le teorie nella realtà e di tenere insieme filosofia politica, economia, diritto e informatica. Insomma, a chi vuole orientarsi tra i venti che agitano le tempestose acque dell'informazione, questo libro fornisce una mappa tra le più preziose.E come tutti i bei libri, ha posizioni chiare e, come tali, discutibili.
In primo luogo, egli sembra dare alla libertà di pensiero un connotato funzionalistico: essa ha il principale compito di generare la discussione pubblica, il miglior terreno di coltura della democrazia. Noi, viceversa, preferiamo ritenere che si tratti anzitutto di una libertà individuale, il cui esercizio certo implica, come conseguenza ma non come scopo principale, quel controllo del potere antidoto a qualsiasi dittatura.Qual è la differenza fra le due impostazioni e perché rileva? Nella prima l'intervento dello Stato ha margini più ampi: tutte le volte in cui l'esercizio della parola cozza con l'interesse pubblico, l'ordinamento sarebbe legittimato a intervenire. Di solito è il potere stesso che decide se pensiero è ortodosso, circostanza rischiosa, poiché “non ci sono poteri buoni”.
Per la seconda impostazione, invece, la libertà è un valore in sé e lo Stato si intromette, regolandola, soltanto al fine di creare le condizioni perché questa libertà possa esprimersi senza condizionamenti o per reprimere lesioni a beni giuridici concreti, individuali o collettivi.
Inoltre, Nicita contrappone un romantico “mercato delle idee” e l'attuale “mercato della verità”, tanto dominato dalla disinformazione da richiedere la creazione di un nuovo “diritto a non essere disinformati”. Noi crediamo che anche nel mondo digitale esistano anticorpi che danno prova di funzionare il più delle volte, sia pure con i loro tempi: tecnologia, giornalismo professionale e partecipativo aiutano a conoscere la realtà e a smentire le menzogne (banalmente, è più difficile essere terrapiattisti dopo aver visto le foto della terra scattate dagli astronauti).
La teoria della “bolla” sembra sottovalutare che l'uomo non è a una dimensione. Ognuno di noi è un parallelepipedo molto sfaccettato i cui diversi lati non sempre restituiscono a un colpo d'occhio una figura facilmente classificabile. Citando il maestro di Pavana, chiunque può essere al contempo anarchico, fascista, ricco, senza soldi, radicale, diverso ed uguale, negro (e pazienza se l'algoritmo di Facebook si arrabbia), ebreo e comunista. Dunque anche in rete, sia pure guidato dall'algoritmo, incontra individui diversi con idee, gusti e preferenze diverse.
Poi, la dieta mediatica non è solo digitale. Secondo l'Istat, quasi il 90% degli italiani si informa attraverso la televisione generalista, che non dunque è un relitto del passato. Inoltre, esistono una serie di luoghi, fuori dai media, che incidono sulle convinzioni di ognuno, dalla famiglia alla scuola alle altre formazioni sociali, sportive, culturali e politiche.
Del resto, alcuni fatti recenti, citati da Nicita, come la pandemia e le elezioni americane, inducono a non essere troppo pessimisti. La prima non ha invero provocato le tensioni sociali temute; la grande maggioranza, almeno in Italia, ha creduto alla scienza e contronarrazioni fantasiose hanno fatto presa su frange assai minoritarie.
Allo stesso modo, l'ossessiva mistificazione della realtà da parte di Trump e dei suoi seguaci ha prodotto una frattura profonda nella società americana. Tuttavia, al momento del voto, costui ha subito una cocente disfatta ed è stato il primo presidente uscente dai tempi di Bush padre a non essere stato rieletto.
Quali le soluzioni, dunque, dicevamo? Qui ci troviamo d'accordo con la gran parte di quelle individuate da Antonio Nicita: imporre trasparenza all'algoritmo, chiarezza sulla provenienza dei contenuti, per contrastare le centrali della disinformazione, onere alle piattaforme di rivelare la fonte in caso di violazione di diritti, pena l'assunzione di responsabilità civili, potenziamento dei media di servizio pubblico, sostegno all'editoria e al giornalismo professionale e, come sostiene Tim Wu in un altro bel libro del Mulino, lotta ai monopoli privati.
In questa cornice, siamo ancora convinti che il freemarket basato su una effettiva concorrenza tra le piattaforme e sulla libera circolazione di tutte le informazioni, parafrasando Churchill, sia certo il peggior modo di giungere alla verità, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono finora sperimentate.
Giulio Enea Vigevani
collaboratore
Carlo Melzi d’Eril
collaboratore
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