di P.Sol.
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Dopo un paio di giorni di rinvii è ripartito al Cern il più grande acceleratore di particelle del mondo, l’Lhc (Large Hadron Collider), quello che ha permesso di rilevare il bosone di Higgs. Dopo una pausa tecnica di più di tre anni, durante la quale la macchina è stata potenziata, l’acceleratore è di nuovo attivo e due fasci di protoni hanno ripreso a circolare nell’anello di 27 chilometri.
L’acceleratore, al quale l’Italia partecipa con l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), era stato spento nel dicembre 2018 proprio per renderlo ancora più potente, ma le operazioni sono state ritardate anche dall’emergenza del Covid 19 che ha ritardato i lavori di potenziamento e manutenzione.
Due fasci di protoni hanno percorso, in direzioni opposte, un intero giro dell’anello a bassa energia, la stessa con la quale sono stati iniettati, pari a 450 miliardi di elettronvolt (450 GeV), in direzioni opposte.
«Questi primi fasci di particelle rappresentano il successo della ripartenza dell’acceleratore dopo il grande lavoro che è stato fatto durante la lunga pausa», osserva Rhodri Jones, responsabile del dipartimento delle operazioni relative ai fasci di particelle.
La riaccensione sarà il primo passo importante per vedere ancora l’Lhc al lavoro. In questa prima fase, infatti, i fasci di particelle circoleranno nell’anello dell’acceleratore all’energia di iniezione e bisognerà aspettare giugno-luglio perché vengano accelerati e la macchina entri in piena attività.
La riaccensione di un acceleratore di particelle come l’Lhc è un’operazione complessa: «Non è come schiacciare un bottone: c’è un certo senso di tensione e nervosismo», ha spiegato Rende Steerenberg, responsabile della sala operativa.
Tra le maggiori difficoltà che si potrebbero registrare la scoperta di un’ostruzione, la deformazione dei materiali sottoposti a variazioni di 300 gradi di temperatura e le difficoltà di coordinamento di migliaia di magneti incaricati di mantenere costante il flusso di particelle al di sotto del confine franco-svizzero nei dintorni di Ginevra.
Le collisioni sperimentate all’Lhc tra il 2010 e il 2013 hanno portato all’evidenza dell’esistenza dei tanto sospirati bosoni di Higgs che, insieme al loro campo energetico, sono ritenuti determinanti nella formazione dell’Universo all’indomani del Big Bang di 13,7 miliardi di anni fa.
Ma resta ancora molto da scoprire. In primo luogo gli esperimenti che saranno ripresi al Cern puntano nel senso della ricerca della “materia oscura” che esisterebbe al di sotto dell’universo visibile. Si ritiene che la materia oscura abbia un volume cinque volte superiore alla materia visibile, ma ha la peculiarità di non assorbire, riflettere o emettere luce. Per questo viene chiamata “oscura” e gli esperimenti finora non hanno portato ad alcuna evidenza.
Le nuove potenzialità lasciano sperare in una maggior possibilità di rilevare questa materia: «Aumenteremo drasticamente il numero delle collisioni e, parallelamente, la probabilità di nuove scoperte», aggiunge Steerenberg, sottolineando che è già in programma una nuova chiusura dell’Lhc dal 2025 al 2027.
Intanto nella sala operativa che governa l’Lhc sono pronte le bottiglie di champagne che saranno stappate se tutto nei prossimi giorni riprenderà senza problemi.
Pierangelo Soldavini
Vicecaporedattore
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