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Quattro orientamenti per completare il modello digitale Ue

di Luciano Floridi, Giusella Finocchiaro e Oreste Pollicino

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Direttive, privacy, linguaggio comune, regolamentazione i pilastri su cui lavorare

6 gennaio 2022
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5' di lettura

Il 2021 è stato un anno di grandi trasformazioni sociali, tecnologiche e normative, soprattutto in riferimento alla delineazione sempre più precisa di un modello digitale europeo. A livello legislativo, si sono aperti in Europa alcuni cantieri, in particolare quelli sul Digital Service Act, Digital Market Act e Artificial Intelligence Act. Non si chiuderanno nel 2022, ma l’anno appena iniziato sarà decisivo per capire se sarà mantenuta la promessa di una società digitale europea in grado sia di essere coerente con le sue radici etiche e costituzionali, e quindi di natura regolatoria, sia di saper dialogare, a livello geopolitico, con interlocutori che si muovono lungo traiettorie diverse e spesso divergenti.

Si pensi soprattutto all’approccio statunitense, auto-regolatorio e basato sull’antitrust, e a quello cinese, dirigistico e basato sul capitalismo di stato. Almeno quattro orientamenti fondamentali potrebbero indirizzare con successo il processo europeo nella direzione appena tracciata.

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Il primo riguarda l’equilibrio tra regolamenti e direttive. L’Unione europea e specialmente gli Stati membri, devono essere in grado di conciliare una visione prospettica di medio termine, che fa riferimento alla chiusura dei cantieri digitali appena menzionati, con un esercizio consapevole ed il più possibile armonico relativo all’attuale recepimento di normative la cui modalità di trasposizione avrà un’incidenza diretta sul successo della futura legislazione in arrivo. Si pensi, per esempio, al recepimento delle direttive in materia di audiovisivo e copyright da parte dei diversi Stati. Ebbene, il quadro frammentario che sta emergendo, con particolare riferimento alla disciplina del diritto d’autore – in cui peraltro il modello italiano rischia di porsi, per alcuni aspetti rilevanti, come un caso isolato – inciderà negativamente sul tentativo, fatto con il Digital Service Act e il Digital Market Act, di offrire un quadro normativo unitario e condiviso per il modello digitale europeo. Più in generale, è il problema del disequilibrio tra regolamenti e direttive. Metaforicamente, si rischia un grave sbilanciamento tra un tetto unico, solido e a prova di perdite e infiltrazioni per la casa europea digitale – quello che stanno costruendo i cantieri normativi in corso, che adottano la forma più stringente del regolamento – e il terreno sottostante, rappresentato dalle normative che oggi sono oggetto di recepimenti, assai diversi e variabili, da parte degli Stati membri, basati su direttive e non su regolamenti. Questo terreno “nazionale” corre il rischio di sgretolarsi per l’eccesso di frammentazione, l’ostacolo più insidioso per la realizzazione di un mercato unico digitale europeo.

Il secondo orientamento per una strategia digitale europea di successo riguarda un maturo dibattito sulla privacy. Spostando lo sguardo da un’Europa del mercato ad un Europa dei diritti, il giudice che ha il compito di tutelare i diritti dei cittadini europei, cioè innanzitutto la Corte di giustizia, dovrebbe emanciparsi dalla prospettiva unidirezionale di tutela della privacy digitale che ha caratterizzato buona parte delle decisioni degli ultimi anni. Una prospettiva comprensibile in passato, quanto si trattava di stabilire e poi rinforzare la specificità del modello continentale in cui, come è noto, la protezione dei dati personali è un diritto fondamentale costituzionalizzato dalla carta dei diritti europea. Ma oggi una prospettiva in parte superata, perché il successo del General Data Protection Regulation (GDPR) come regola standard globale e l’effetto di esportazione del modello nelle altre regioni geopolitiche (il cosiddetto effetto Bruxelles) hanno reso più sicura e stabile l’Unione europea come mercato rispetto a sfide esterne. Internamente, deve ancora definirsi ed emergere un equilibrio soddisfacente tra diritto alla protezione dei dati personali e altri diritti fondamentali. Con uno slogan: il mercato non vive di sola privacy. L’obiettivo di una tutela sistemica dei diritti fondamentali potrebbe essere realizzato se nel 2022 si riuscisse ad avere una visione più inclusiva e equilibrata dell’insieme dei diritti in gioco e che spesso sono coinvolti nelle operazioni di bilanciamento, come ad esempio quelli della libertà di espressione e di iniziativa economica.

Il terzo orientamento concerne lo sviluppo di un linguaggio comune, quanto meno a livello transatlantico, non tanto in termini di valori costituzionali, che divergono, quanto in termini di meccanismi procedurali che possono unire l’Unione europea e gli Stati Uniti. Qualsiasi tentativo, per quanto equilibrato e ragionevole, di lavorare esclusivamente sulla portata ed i limiti dei diritti sostanziali e dei valori alla base delle radici costituzionali europee rischia di scontrarsi con la perdurante divergenza tra tali radici ed il codice genetico del costituzionalismo statunitense che si concentra invece sulla libertà di espressione, come un diritto quasi sacrale, e sulla prevalenza, inversa rispetto al modello europeo, del valore della libertà su quello della dignità. È proprio la procedura, al di là della retorica dei diritti fondamentali, la parola chiave della nuova stagione del costituzionalismo digitale. Qui il riferimento – guardando ai cantieri digitali in fase di lavorazione – è soprattutto agli obblighi di trasparenza algoritmica per le piattaforme digitali e al due data process che comporterebbero il rafforzamento delle tutele degli utenti nel loro rapporto con le piattaforme. Il costituzionalismo analogico è quello dei valori sostanziali, quello digitale, che dovrebbe caratterizzare il laboratorio digitale europeo dei prossimi anni, si fonda invece sulla dimensione procedurale. Concettualmente, si tratta di passare dalla sostanza (dei valori) alla funzione (delle procedure). È un percorso in perfetta armonia con una visione molto più relazionale e molto meno “cosale” della società.

Il quarto e ultimo orientamento si concentra sul prendere sul serio il concetto di co-regolamentazione che deve essere chiarito, specialmente sotto il profilo applicativo. Spesso si liquida il punto parlando di una via mediana tra autoregolamentazione da parte delle piattaforme digitali e legislazione vincolante di provenienza europea o statale. Ma quali sono le forme e i limiti in concreto della co-regolamentazione? I nuovi cantieri digitali del 2022 ci danno un'indicazione importante al riguardo. I codici di condotta, ed in particolare quelli in tema di lotta alla disinformazione ed ai discorsi d’odio, sono identificati come una base giuridica per un esercizio di co-regolamentazione. La condizione è ovviamente che tali codici siano assai più ambiziosi ed efficaci rispetto a quanto fino ad esso hanno rappresentato. Devono costituire il risultato di un processo autentico di discussione e decisione congiunte da parte di poteri privati e pubblici, ed essere e grado di elaborare obblighi, misure specifiche e test di valutazione della efficacia delle stesse che siano credibili e coerenti con le linee guida della Commissione europea.

Per il pieno e sostanziale successo del modello digitale europeo occorre sviluppare un buon equilibrio tra regolamenti e direttive, un dibattito sulla privacy maturo, un linguaggio normativo transatlantico, e una co-regolamentazione ambiziosa e efficace. Solo così si potrà garantire in pieno la riuscita della costruzione europea, aperta verso le altre regioni del mondo, e integrata nel pubblico e nel privato.

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