di Giorgio Santilli
Pnrr, Gentiloni: "Impegno governo su obiettivi molto serio"
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L’obiettivo di spesa per il Pnrr nel 2022 non sarà raggiunto neanche nella sua dimensioni rivista e ridotta a 20 miliardi con la Nadef varata a settembre dal governo Draghi. Lo ha detto ieri il ministro per gli Affari europei, la coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, intervenendo nell’audizione programmatica davanti alle commissioni delle politiche Ue di Camera e Senato. «Temo, dalle previsioni cui stiamo lavorando, che questo obiettivo non sarà assolutamente raggiunto», ha detto Fitto che ha poi confermato l’intenzione del governo di raggiungere i 55 target previsti per il 31 dicembre in funzione della rata di finanziamenti da 19 miliardi. Su questo punto Fitto ha confermato l’ottimismo. «Se il lavoro che in queste ore stiamo facendo, in pieno raccordo con la commissione Ue, prosegue come penso ha detto il ministro - non ci sarà bisogno di fare subito il decreto che dovrà anche riformare la governance, ma lo faremo a gennaio».
Corposo il capitolo delle modifiche al Pnrr cui il governo sta lavorando ormai esplicitamente. Il disegno assume via via contorni più chiari. Anzitutto Fitto ha spiegato l’orizzonte temporale di una proposta che dovrà essere tramutata in decisione sul nuovo Piano. «Il cronoprogramma condiviso con la commissione - ha detto Fitto - prevede che questo lavoro, che si svolge verso l’Europa, verso i ministeri e verso Regioni e comuni, si completi fra gennaio e marzo e riguardi anche Repower Eu».
Due le leve che il governo, d’intesa con la commissione, intende azionare per arrivare a un nuovo Piano. Il primo è il problema degli extracosti che saranno quantificati con un lavoro fatto con la commissione, «molto più complesso ma anche molto più preciso» delle stime «al lordo» viste finora (Fitto ha citato quella dell’Ance che parla di aumenti del 30%». Il lavoro sarà fatto cioè, misura per misura, opere per opera, con il timbro della commissione Ue.
La seconda leva sarà il Repower Eu cui bisognerà far posto dentro il Pnrr, con azioni di efficientamento energetico e con la realizzazione di programmi infrastrutturali energetici finalizzati a fare dell’Italia l’hub energetico dell’Europa. Le due leve si tengono insieme perché, avendo l’Italia già raggiunto il tetto massimo di finanziamenti possibili con il Pnrr e non avendo spazi residui per finanziare Repower Eu (come prevede il regolamento europeo), cancellare opere che non potranno rispettare il target di realizzazione del 2026 servirà ad aprire spazi e spostare risorse verso il nuovo piano energetico.
Fitto ha anche sottolineato due concetti politici molto forti. Il primo, in realtà, è un cavallo di battaglia del ministro: la programmazione del Pnrr (a questo punto del nuovo Pnrr) dovrà essere fatta insieme alla programmazione dei fondi di coesione 2021-2027 e al Fondo sviluppo coesione 2021-2027. Intanto continua anche la due diligenze, che pure sarà pronta a gennaio, per capire a che punto è, Regione per Regione, la spesa della programmazione 2014-2020.
Il secondo concetto politico di Fitto spiega la discontinuità rispetto al governo Draghi. «Il nostro orizzonte è un orizzonte di legislatura e quindi noi guardiamo al 2026, non al prossimo semestre». Anche questo un approccio che serve a spiegare perché il governo andrà giù con l’accetta rispetto a opere che corrono anche il minimo rischio di non essere realizzate entro il 2026. E questo si collega a un altro proposito cui il ministro sta lavorando. «Non è difficile, a quattro anni dalla conclusione del Piano, fare una proiezione di cosa accadrà a ogni singola opera in questi quattro anni prossimi».
L’impressione è che Fitto, sostenuto da Giorgia Meloni, sia pronto ad affrontare anche una revisione radicale del programma e che sia convinto di poterlo fare con il sostegno della commissione che - ha fatto capire il ministro - ha il nostro stesso interesse a portare fino in fondo il piano. Che poi questo si traduca in una strage di opere pubbliche infrastrutturali sembra piuttosto probabile. Con quello che questo significherà anche in termini di equilibri dentro il governo».
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Giorgio Santilli
Capo della redazione romana
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