di Alberto Magnani
L’apertura dell’assemblea Ua ad Addis Abeba (Reuters)
4' di lettura
«Tolleranza zero» contro i «cambi incostituzionali» di governo: i colpi di Stato tornati alla ribalta in Africa, spesso con il pretesto di sradicare insorgenze terroristiche. È uno degli annunci scanditi nella 36esima sessione ordinaria dell’assemblea dell’Unione africana, il vertice che riunisce almeno una volta l’anno i capi di Stato e governo dei 55 paesi sotto il cappello dell’Unione.
Gli osservatori si aspettavano che il summit, terminato il 19 febbraio, si sarebbe concentrato su crisi di sicurezza ed emergenza alimentare, esasperate prima dalla pandemia di Covid e ora dall’escalation militare nell’Est Europa. I pronostici sono stati rispettati, almeno sul primo fronte, con una stretta - verbale - sulla nuova ondata di golpe che sta inquietando la regione subsahariana.
Dal 2017 a oggi, secondo una ricognizione divulgata dalla Bbc britannica, 15 dei 16 colpi di Stato andati in porto si sono registrati in Africa, con la sola eccezione di quello in Myanmar nel 2021. Solo fra 2020 e 2022 se ne sono consumati due in Burkina Faso, due in Mali e uno ciascuno in Guinea, Ciad e Sudan, un bilancio che si sarebbe potuto aggravare con le offensive tentate e fallite nello stesso arco di tempo.
L’Unione africana ha riaffermato che intende «sostenere [...] il ritorno all’ordine costituzionale» di quegli stati membri, prolungando fino ad allora la sospensione inflitta a Burkina Faso, Mali e Guinea. Le delegazioni dei tra paesi erano arrivate in Etiopia alla ricerca di una tregua, barattando una distensione nei rapporti con un impegno più chiaro per il ritorno all’ordine costituzionale. Il pressing è andato a vuoto.
È necessario «enfatizzare che l’Unione africana rimane intollerante verso qualsiasi strumento non-democratico di potere politico», ha ribadito in una conferenza stampa Bankole Adeoye, commissario per gli Affari politici, la pace e la sicurezza dell’organizzazione. La stretta diplomatica che non si è espressa “solo” nelle sanzioni previste e attuate dall’Ua.
In un incontro interno al margine del summit, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale ha confermato e inasprito a sua volta le misure ritorsive contro i tre paesi sotto sanzione dall’Ua, aggiungendo un divieto di viaggio per i suoi funzionari governativi. Il vincolo per la fine dell’isolamento è il ritorno a un governo democratico, una scadenza fissata entro il 2024 per Burkina Faso e Mali e il 2025 nel caso della Guinea.
I governi riconosciuti di Burkina Faso e Mali sono stati rovesciati da giunte militari, con due golpe consecutivi nel solo 2022 a Ouagadougou e fra 2020 e 2021 a Bamako. In entrambi i casi la motivazione dichiarata è il contrasto all’ascesa jihadista che sta martoriando il Sahel, facendo leva sulle accuse di incompetenza piovute sui vecchi esecutivi e gli alleati occidentali. In Guinea i militari hanno spodestato nel 2021 il presidente Alpha Condé, contestandogli la gestione della crisi economica del paese.
Un secondo fronte caldo della sessione si è consumato sulla spinta all’Africa continental free trade area (Acfta), l’accordo di libero scambio che dovrebbe potenziare il mercato interno al Continente. Il progetto, frutto di una gestazione negoziale di quasi due decenni, è entrato in vigore nel 2021, con un ritardo di un anno dovuto all’esplosione della pandemia di Covid. L’Unione africana progetta di aumentare il volume delle esportazioni intra-africane del 60% entro il 2034, abbattendo le barriere tariffarie e logistiche che lo schiacciano su valori minimali di oggi: appena il 15% delle merci prodotte è scambiato fra paesi del Continente, contro la media del 60% abbondante che si registra nella Unione europea.
L’obiettivo è fondante nell’architettura dell’Afcta, congegnato con il proposito di favorire un’integrazione sempre maggiore fra le economie del Continente e capitalizzare un bacino di 1,3 miliardi di - potenziali - consumatori africani. Ma i primi passi procedono al rilento, con conflitti sull’apertura delle frontiere e deficit logistici che minano le ambizioni di un mercato unico simile a quello europeo. L’ostacolo di partenza è quello infrastrutturale, anche sotto forma di ritardi e lacune nelle forniture energetiche.
Secondo i dati di Snv, un’organizzazione olandese specializzata in economie dello sviluppo, almeno 600 milioni di africani non hanno accesso all’elettricità e 30 dei 47 paesi dell’Africa subsahariana soffrono di carenze su base quotidiana. Un esempio eclatante è quello del Sudafrica, l’economia più industrializzata del Continente, vittima di una sequenza di blackout che si trascina da oltre tre mesi e ha condotto Pretoria a dichiarare lo «stato di disastro» per la sua stessa incapacità di affrontare le interruzioni di corrente.
Nelle dichiarazioni ufficiali, comunque, prevale l’ottimismo sui margini di crescita e la rimozione agli ostacoli che la arginano. Sia sul versante economico che su quello politico, dove i governi africani scontano un peso ancora modesto nei consessi internazionali.
L’Onu, presente ad Addis Abeba con il suo segretario generale Antonio Guterres , ha sposato la linea dell’Ua e sottolineato che collaborerà con l’organizzazione per «sbloccare il potenziale» implicito a un Continente che raddoppierà la su. Il 21esimo secolo è «il secolo dell’Africa», ha detto, spendendosi a favore dell’ingresso dell’Unione africana nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite.
Il segretario Onu ha sottolineato di essere sprovvisto dei poteri per attuare la decisione, appellandosi agli stati membri per una battaglia che si trascina da anni. Per ora, senza svolte nel senso auspicato dalla Ua. «È mia profonda convinzione - ha detto Guterres, citato dalla testata Africa Report - che la più grande ingiustizia che esiste, oggi, è che nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite manchi un membro africano».
Alberto Magnani
Redattore
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy