Commenti
Pubblicità

Commenti

Come tutelare lo sviluppo e l’italianità delle imprese con il private equity

di Simone Strocchi

Immagine non disponibile
(photon_photo - stock.adobe.com)

(photon_photo - stock.adobe.com)

Nel 2022 sono state realizzate molteplici operazioni di M&A sui mercati privati che hanno portato la percentuale più alta di valore di impresa sottostante nel controllo di trade-buyer e fondi private equity stranieri.

1 febbraio 2023
Pubblicità

3' di lettura

Nel 2022 sono state realizzate molteplici operazioni di M&A sui mercati privati che hanno portato la percentuale più alta di valore di impresa sottostante nel controllo di trade-buyer e fondi private equity stranieri. Del resto, l’industria del private equity nazionale non ha una trasversalità completa e si affolla nel segmento di fondi con raccolta complessiva tra 100 e 500 milioni, capaci di agevolare la prima fase di crescita delle nostre migliori Pmi, che finiscono spesso per passare la mano a fondi PE più grandi, quasi sempre Nord Europei o Americani con capacità di investimento di svariati miliardi. Un antidoto a questa emorragia di governance, che vede incrementare di anno in anno la proprietà estera del capitale dei nostri campioni di economia reale, sono sicuramente i mercati borsistici, che consentono alle imprese di accedere a capitali in franchigia di debito e pattuizioni parasociali di co-vendita, mantenendo l’italianità di governance e management a beneficio della intera collettività nazionale. Tuttavia, non possiamo evitare di rilevare che l’anno appena concluso ha registrato un significativo numero di Opa totalitarie che hanno estratto dal mercato principale della Borsa di Milano circa 33 miliardi di market cap cumulato ancora una volta ad opera del grande capitale straniero.

Non c’è da sorprendersi per quanto accaduto, poiché abbiamo visto operazioni di acquisto di imprese private perfezionarsi a valori significativamente più alti dei valori di quotazione di società della medesima industry e size trattate sui listini borsistici (anche al lordo del premio di OPA), segno lampante della sottovalutazione di molti titoli, che hanno sofferto e soffrono di contrazioni di valorizzazione borsistica dovute a riscatti operati da fondi aperti (UCITS) per ossessiva ricerca di adeguamento di portafoglio ad indici di liquidabilità.

Pubblicità

Ne emerge chiaramente che il nostro ecosistema non conta di significativi fondi chiusi con approccio da investitori costruttivi attivi sui listini borsistici.

Così, anche le imprese italiane quotate rischiano di diventare preda di capitale monocratico internazionale capace di identificare le opportunità e impossessarsene con OPA, con effimero soddisfacimento delle compliance dei fondi UCITS che guidano il risparmio nazionale verso liquidazioni di investimenti al ribasso che sembrano impostate per penalizzare le società espressione di economia reale Italiana, fenomeno che si acuisce quando i fondi aperti ricercano indici di liquidità nelle congiunture più turbolente.

Sono considerazioni che ci devono far riflettere, perché le società, quotate e no, che diventano oggetto di operazioni di takeover sponsorizzate da buyer stranieri sono indubbiamente espressione di un’economia reale performante e sono i datori di lavoro degli italiani, dunque, un eccesso e sistematico trasferimento di governance in mani straniere potrebbe non giovare alla nostra comunità nazionale. Non si può certo proteggere tutto con golden share o vincoli incompatibili con le leggi di libero mercato, né si può pensare di risolvere ogni esigenza di financing per supportare i progetti di crescita delle nostre imprese con l’intermediazione bancaria tra risparmio e credito, né tantomeno con braccia armate da capitali pubblici di CDP investiti direttamente sui “single name” dell’industria nazionale. La soluzione va individuata nello sviluppo di una industria finanziaria privata a trazione italiana, agevolata da un approccio supportivo sistemico, competente ed efficace, per canalizzare risparmio nazionale a sostegno delle nostre imprese di eccellenza, con l’obiettivo di condividerne le performance mantenendone l’essenziale italianità. Ciò che sta accadendo ci indica che serve un approccio da private equity nazionali anche applicato su società trattate sui listini borsistici, senza che sia declinato in OPA finalizzate a ritirare le società dal mercato, ma anzi, sviluppato con soluzioni strutturate al fianco degli stessi soci di governance.

Promuovere operazioni strutturiate di PIPE (Private Investment In Public Equity) è possibile, urgente e con grandi potenzialità di performance. Noi per primi, che con Electa Ventures, abbiamo sostenuto ripetutamente con successo imprese soluzioni acicliche di accesso in Borsa, con cui abbiamo supportato campioni di economia reale. Servono più player dedicati ad accelerazione di IPO e PIPE, promotori di capitali costruttivi a supporto di imprenditori italiani in contesti utili a mantenere la governance autoctona delle nostre migliori Pmi quotate e accessibili
sul mercato borsistico italiano, superando i momenti di contrazione di valutazione determinati da circostanze esogene ai fondamentali di business, per condividere performance significative nel medio periodo.

Riproduzione riservata ©
Pubblicità
Visualizza su ilsole24ore.com

P.I. 00777910159   Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie  Privacy policy