di Andrea Carli
Giustizia, doppia fiducia alla Camera: 458 voti favorevoli, 46 no
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Sarà che per ottenere quegli oltre 191 miliardi nell'ambito del Next generation Eu l’Europa chiede che la tabella di marcia delle riforme che l’Italia ha delineato alla Commissione venga rispettata, e che non ci siano slittamenti. Sarà perché in un governo di larghe intese, sostenuto da forze talvolta molto lontane per proposte e posizioni politiche, a un certo punto occorre trovare una sintesi. Sta di fatto che dalla data del suo insediamento (13 febbraio 2021), rileva Openpolis , il governo Draghi ha già posto la questione di fiducia 12 volte (l’ultima quella per il via libera che ha poi portato al semaforo verde della Camera alla riforma della giustizia penale targata Cartabia, una legge delega e non un decreto legge), per una media di 2 al mese (rilevazione aggiornata al 3 agosto). Tra il mese di luglio di quest’anno e i primi giorni di agosto questo scenario si è manifestato sei volte.
La scelta di ricorrere alla fiducia è nella sostanza una “forzatura” politica. Quando un governo pone la questione di fiducia su un provvedimento lega il suo destino a quello del testo. Qualora il provvedimento non venisse approvato l'esecutivo sarebbe infatti costretto a dimettersi.
Un dato lievemente inferiore ma sostanzialmente in linea con quello dei governi precedenti. Il governo Conte II ha posto in media 2,25 questioni di fiducia al mese, il governo Gentiloni 2,13, il governo Renzi 2. Il dato più alto è quello del governo Monti con una media di 3 voti di fiducia al mese. Insomma, almeno da questo punto di vista la strategia non ha manifestato particolari novità.
La motivazione che ha portato l’esecutivo Draghi a ricorrere alla fiducia, nonostante l'ampia maggioranza che lo sostiene, è stata principalmente la necessità di convertire prima della loro scadenza alcuni dei decreti legge emanati per fronteggiare l'emergenza Covid-19 (dl sostegni e dl sostegni bis). Dall'altro lato però governo e parlamento nei prossimi mesi e anni saranno chiamati ad approvare delle riforme molto importanti per il paese. È possibile quindi, osserva Openpolis, che «il ricorso alla fiducia si faccia ancora più frequente». Di qui, la conclusione: una prassi sempre più diffusa di ricorrere alla fiducia rischia di esautorare sempre di più il parlamento delle sue prerogative.
Rimanendo a questo aspetto, i provvedimenti del governo Draghi approvati con doppio voto di fiducia sono tre. Quando il governo pone la fiducia in entrambi i rami del parlamento un provvedimento di fatto viene “blindato”. Questa circostanza è già avvenuta in tre occasioni dall'insediamento del governo Draghi. Nel caso dei due decreti sostegni e del decreto sulla governance del Pnrr. Sotto questo punto di vista possiamo notare che, analizzando le ultime due legislature, il governo che ha fatto più ricorso al doppio voto di fiducia per blindare un provvedimento è stato quello di Matteo Renzi (22). Seguono poi i governi Conte II (15) e Gentiloni (11).
Nelle ultime settimane all'interno della maggioranza si sono registrate delle tensioni crescenti. Un elemento che aiuta a capire come le difficoltà per l'esecutivo si stiano intensificando riguarda l'aumento di “voti ribelli”. Un parlamentare è considerato ribelle quando esprime un voto diverso da quello del gruppo a cui appartiene. È con il voto sulla conversione del decreto semplificazioni e governance Pnrr che la questione si è fatta rilevante. In questa occasione infatti sono stati 14 gli esponenti della maggioranza a non votare a favore del provvedimento. La maggior parte dei quali appartenenti al Movimento 5 stelle.
Andrea Carli
Redattore
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