di Mario Cianflone
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Alla ricerca di una supremazia culturale nell’automobile. È in una nuova corsa alla leadership che si gioca il futuro di un’industria che in Europa, lo ha ricordato martedì 31 gennaio Luca de Meo in veste di neopresidente di Acea, vale 13 milioni di posti di lavoro e l’8% del Pil. L’auto è il motore d’Europa, ma ha perso terreno e altro ancora ne perderà senza un cambio di marcia.
La corsa all’elettrico con il bando ai motori termici, imposto, con scarsa neutralità tecnologica, dalla Ue al 2035, ha cambiato la geografia e le regole del gioco. Questo ha agevolato potenti gruppi cinesi senza un’efficace protezione europea (paragonabile all’IRA – Inflation reduction act - degli Usa).
L’auto elettrica cambia le regole perché è più semplice: meno pezzi, meno fornitori, meno complessità e più affidabilità. Una manna per le case cinesi che si sono trovate quasi azzerato un gap competitivo e tecnologico costruito in 12 decenni. Le auto elettriche, ma diciamo anche connesse e digitali, mettono, tecnologicamente i brand quasi sullo stesso piano.
E c’è un altro aspetto, per quanto gli europei possano correre sfornando Bev a raffica con sforzi finanziari giganteschi (100 miliardi solo quelli del gruppo Vw): i gruppi cinesi, e i loro tanti marchi che spuntano a ritmo incessante, vanno veloci. Troppo veloci. Molti analisti pensano che possano fare in meno di 5 anni un balzo paragonabile, ma forse più ampio, di quello compiuto in 25 anni dai coreani.
Perché i cinesi corrono e gli europei restano statici e un po’ noiosi nelle loro proposte? Non è solo questione di investimenti. I cinesi hanno appreso prima e meglio degli altri la lezione di Tesla: esplorare nuove leve, come la gamification, per conquistare clienti. Basta vederle le cinesi di ultima generazione (sviluppate in era Covid): sono esteticamente gradevoli. Non era difficile farlo: soldi e buoni designer europei fanno miracoli. E si può sempre aprire un centro di design e ricerca in Europa (come quello di Milano annunciato da Geely).
Ma non solo, ora iniziano a essere competitive anche nelle doti dinamiche: l’elettrico ha semplificato anche la progettazione di un buon autotelaio. Non basta: sono state promosse a pieni voti nei crash test Euro Ncap (dopo anni di joint venture in Cina hanno capito come si fanno le auto). Spesso vantano tecnologie al top come gli 800 Volt.
È sufficiente salire a bordo per rendersi conto della freschezza di idee digitali, dimestichezza con il software e facilità di accesso a un ecosistema di tecnologie (display e processori) che in Europa non è sviluppato. Forse i gli europei hanno peccato di superbia forti dei loro “superbrand” e della loro storia.
Luca de Meo e l’Acea lanciano dunque un allarme sulla tenuta dell’industria europea, ma forse non serve solo un’intervento di una politica industriale: occorre una rivoluzione culturale da parte delle case verso l’innovazione, quella utile e quella che diverte e potrebbe far uscire l’auto europea dal grigiore di chi vuole trasformarla in un banale - e perdente - mobility device con buona pace del valore dei brand, ultimo grande asset da proteggere.
Mario Cianflone
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