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Primarie Pd, per l’affluenza l’asticella di un milione di votanti. Dal 2007 calo costante

Pd, Schlein: per ora non parlo di collaborazioni con Bonaccini

Dai 3,5 milioni del debutto che elesse Walter Veltroni a 1,6 milioni del 2019 per l’elezione di Nicola Zingaretti

26 febbraio 2023
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3' di lettura

Non ci sono stime ufficiali sull’affluenza per la seconda e decisiva fase delle primarie di domenica 26 febbraio che dovrà stabilire chi, fra Stefano Bonaccini ed Elly Schlein, guiderà il Pd: nel 2019, quando venne eletto Nicola Zingaretti, andò ai gazebo oltre un milione e mezzo di persone. Nei giorni scorsi, i due candidati hanno detto di auspicare che stavolta si arrivi al milione. Un calo è considerato fisiologico, anche alla luce di quanto avvenuto nei circoli, dove stavolta hanno votato 151.530 iscritti: nel 2019 furono in 189mila.

Dall’esordio delle primarie che risale all’autunno di sedici anni fa (2007), gli otto segretari del Pd (non tutti passati attraverso le primarie) si sono sempre dimessi prima della scadenza del mandato e l’affluenza è andata calando: dai 3,5 milioni del debutto a 1,6 milioni del 2019.

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L’esordio con Veltroni

Il 14 ottobre 2007, per la prima volta in Italia, la guida di un partito venne scelta attraverso le primarie, una consultazione aperta anche ai non tesserati. Nasceva il Pd, dalla fusione di Ds e Margherita. Stravinse Walter Veltroni (75,81%), seguito da Rosy Bindi (12,88%), Letta (11,07%), Mario Adinolfi (0,17%) e Pier Giorgio Gawronski (0,07%). Pochi giorni prima del voto, Veltroni aveva azzardato una previsione senza nascondere i timori: «Un milione di persone che vanno a votare sarebbe un risultato straordinario. Se fosse un flop, sarebbe un problema serio per la sinistra».

Più di tre milioni di persone per Bersani

Due anni dopo, nel 2009, ci fu la seconda edizione delle primarie. Veltroni si era dimesso pochi mesi prima, sull’onda lunga delle politiche 2008: il Pd aveva ottenuto il 33%, ma al governo era andato il centrodestra, con Silvio Berlusconi. Dopo la fase di traghettamento di Dario Franceschini, ai gazebo vinse Pier Luigi Bersani, col 53% dei voti. Secondo fu Franceschini, col 34%, terzo Ignazio Marino, col 12%. Votarono più di tre milioni di persone. Bersani restò alla guida del Pd quasi quattro anni. A farlo cadere, nel 2013, fu la vicenda del 101, cioè il numero di voti che mancarono in Parlamento al candidato indicato dal Pd per la presidenza della Repubblica, Romano Prodi.

Le due volte di Renzi

Dopo la reggenza di Guglielmo Epifani, si aprì l’era del “rottamatore”: Matteo Renzi. Alle primarie nel dicembre 2013 andarono 2,8 milioni di elettori: Renzi vinse col 67,55%, secondo Cuperlo col 18%, terzo Pippo Civati, col 14,2% e quarto Gianni Pittella col 5,8%. Renzi vinse anche le primarie successive, nel 2017: nel frattempo, da segretario, era diventato presidente del consiglio, ma aveva lasciato Palazzo Chigi dopo la sconfitta ai referendum del 4 dicembre 2016, sulla riforma costituzionale. Le primarie si tennero il 30 aprile 2017. Votarono 1,8 milioni di persone. Renzi venne confermato col 69,17% dei voti, secondo Andrea Orlando col 19,96% e terzo Michele Emiliano col 10,87%. Ma la guida del Nazareno era destinata a cambiare a breve.

Con Zingaretti affluenza di oltre 1,6 milioni

Nel 2018, dopo la sconfitta alle politiche, col Pd al 19%, Renzi lasciò. Dopo un interregno di Maurizio Martina, arrivò Nicola Zingaretti che, col 66% dei voti, ai gazebo arrivò davanti allo stesso Martina (22%) e a Roberto Giachetti (12%). L’affluenza fu di oltre 1,6 milioni. Zingaretti lascia nel marzo del 2021: l’Assemblea del partito elegge segretario Letta, che si dimette dopo la sconfitta delle politiche di settembre 2022, col Pd al 19%.

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