di Andrea Carli
Asse Parigi e Berlino sugli aiuti di stato, martedi' da Biden
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Nel giro di 96 ore il dossier del nuovo regime semplificato degli aiuti di stato, al centro dell’agenda europea, potrebbe registrare importanti novità. Si comincia, in queste ore, con la trasferta franco tedesca negli Usa, e si continua giovedì 9 e venerdì 10 febbraio con il Consiglio europeo straordinario a Bruxelles quando, oltre a quello di come gestire i flussi migratori, terrà banco il tema di come i 27 devono rispondere all’Ira, la legge contro l’inflazione messa in campo da Washington, ovvero il maxi pacchetto da 370 miliardi di dollari di sussidi pubblici “green” messi a disposizione dagli Stati Uniti. Risorse che potrebbero connvincere molte aziende europee a spostarsi negli Usa, allettate dai sussidi.
Ai primi di gennaio la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha presentato il nuovo piano industriale “green” per rispondere all’Inflation Reduction Act (Ira) targato Biden. Una comunicazione - e dunque non ancora una proposta legale - giudicata da più parti come “insufficiente” e che rischia di volgere i Paesi l’uno contro l’altro in virtù del diverso spazio d’azione fiscale.
Il Green Deal Industry Plan punta a trasformare l’industria europea per accompagnarla «nell’era delle emissioni nette zero» cercando di non deragliare rispetto a Washington e Pechino. Per questo la Commissione europea ha deciso nell’immediato di aprire i rubinetti degli aiuti di Stato, sulla base di regole più flessibili rispetto a quanto accaduto fino a oggi: ha proposto di permettere fino al 2025 sussidi ai settori verdi (su tutti pannelli solari, batterie, turbine eoliche o pompe di calore) in cui c’è rischio di delocalizzazione, ma anche agevolazioni e aiuti diretti alle aziende ricalcati su quelli offerti dagli americani. Ma il piano in questi termini non convince neanche sul fronte dei finanziamenti di medio termine, dove tutto resta come prima senza aggiungere risorse fresche. Il fondo per la sovranità - che sarà discusso non prima dell’estate - viene inquadrato nel contesto ancora vago della «revisione del bilancio comune».
Per raggiungere i circa 350 miliardi di euro necessari, la ricetta delineata da von der Leyen è quella che passa da un rimescolamento delle carte dei fondi già esistenti, affidandosi in primo luogo ai 250 miliardi tra il Recovery fund e il RePowerEu e ai 100 miliardi dalla politica di coesione, oltre ai fondi InvestEu e per l’Innovazione. Anche perché diversi Paesi, capeggiati da Germania e Paesi Bassi, si sono già opposti all’idea di nuovo debito in comune. Nei piani dei vertici Ue, un’intesa sulle nuove regole per gli aiuti di Stato dovrebbe vedere la luce già al summit dei leader della fine di marzo. Ma la strada è già in salita.
Tant’è che il ministro per gli Affari Ue svedese Jessika Roswall al termine del Consiglio Affari Generali ha ammesso che gli Stati membri «hanno pareri discordanti su come la risposta europea» all’Inflation Reduction Act «debba essere presentata». «Il Consiglio lancerà un segnale forte per quanto riguarda l’economia e soprattutto per la promozione di investimenti puliti», ha aggiunto il vice presidente della Commissione Ue Maros Sefcovic sottolineando come «il tempo sia essenziale. Bisogna fare in modo che le industrie strategiche si sviluppino qui in Europa».
Intanto però si rischia un muro contro muro. La linea italiana, espressa dalla premier, non ultimo in occasione del bilaterale a Berlino con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, vede il governo Meloni frenare sulla proposta von der Leyen di “frammentare” il mercato interno. Una soluzione che rischierebbe di ritorcersi contro tutti quei Paesi, tra i quali l’Italia, che si ritrovano con uno spazio fiscale d’azione fortemente limitato dall’elevato debito pubblico. La soluzione indicata dalla Commissione metterebbe inoltre a repentaglio l’unità dei paesi Ue nel bel mezzo del sostegno all’Ucraina, impegnata nello scontro con la Russia. Entrare in una gara di sussidi sarebbe pertanto divisivo. E, senza nuovi fondi comuni, a poco servirebbero il nuovo fondo sovrano al vaglio dell’esecutivo Ue - e ancora tutto da negoziare - o quei soldi “ponte” ancora disponibili dal Recovery Fund e del programma RePowerEU (250 miliardi di euro) o dalla coesione (100 miliardi), da usare nell’immediato. Il ministro degli affari europei Raffaele Fitto ha ribadito che l'Italia chiede «nell’immediato flessibilità nell’uso dei fondi Ue esistenti, in particolare Pnrr e coesione e, in tempi rapidi, la creazione di nuovi strumenti come quello di un Fondo comune per la sovranità europea», un nuovo “fondo sovrano” per sostenere le imprese del Vecchio continente. Ed è una posizione che il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ribadirà martedì 7 febbraio al Consiglio informale competitività di Stoccolma. Il “dossier aiuti di stato”, assieme a quello dei migranti, è stato al centro di un colloquio telefonico tra Meloni e il presidente francese Emmanuel Macron organizzato proprio in vista del summit di giovedì.
Ma la Francia di Macron sembra smarcarsi e spalleggiare la Germania nel chiedere un Ira europeo che includa nuova flessibilità al regime di aiuti di Stato. Il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire e l’omologo tedesco Robert Habeck sono negli Usa per chiedere “trasparenza” all'amministrazione di Joe Biden, in modo da scongiurare una guerra commerciale transatlantica. Ma anche entrambi consapevoli di avere una solida base per aprire i cordoni delle borse e trascinare le loro industrie nella competizione internazionale. Si delinea ancora una volta un'Europa a trazione franco tedesca. Nel faccia a faccia con i segretari al Commercio e al Tesoro Usa, Gina Raimondo e Janet Yellen, Le Maire e Habeck chiederanno «un meccanismo di trasparenza» che imponga di rendicontare l'ammontare dei sussidi e dei crediti d'imposta che saranno concessi sul suolo americano. Così da permettere ai governi Ue di rispondere in modo speculare.
Di fatto, si aprirebbe una corsa agli aiuti di Stato che, come ha fatto presente l'Italia, difficilmente potrebbe essere disputata ad armi pari: stando alla Commissione europea, infatti, quasi l'80% degli aiuti finora approvati dall'inizio della guerra in Ucraina è stato notificato da Germania (52,92%) e Francia (24,04%). E prendendo in considerazione l'importo dei sussidi rispetto al Pil nel 2022, la situazione non è molto diversa: Berlino si conferma in testa con il 9,24% del suo Pil, seguita da Danimarca e Finlandia (con rispettivamente il 6,75% e il 6,5%) e poi dalla Francia (6,14%). L'Italia è lontana, al 2,7%.
Ecco perché Roma, attraverso il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso (ma non solo), cercherà sponde in altri paesi. Può contare su quella del commissario Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager all’interno dell’esecutivo europeo e dei cosiddetti Paesi “frugali” tra i 27. Oltre che con Macron, nelle ultime ore Meloni ha avuto telefonate con il primo ministro olandese, Rutte, il cancelliere federale austriaco Nehammer, e con il primo ministro greco, Mitsotakis. «Non vogliamo avere un’eccessiva flessibilità nelle regole degli aiuti di Stato che portino ad una fine del level playing field», ha scandito la Finlandia alla riunione dei ministri degli Affari Ue che prepara, tradizionalmente, i Consigli europei. Dalla parte di Helsinki ci sono altre 9 capitali nordiche, L’Aja inclusa. L’obiettivo dell’Italia è non finire all’angolo su un tema, quello degli aiuti di stato e della concorrenza, che può fare la differenza in termini di competitività di un paese.
Intanto cambia, sia pur con l’aggiunta di una sola parola, il punto sugli aiuti di Stato nell’ultima bozza delle conclusioni del Consiglio europeo che mercoledì 8 febbraio sarà sul tavolo della riunione degli ambasciatori dei 27. Nel capitolo relativo all’Economia il testo fa riferimento al Green Deal Industrial Plan presentato dalla Commissione e, nella parte relativa al regime di aiuti di Stato, si legge che «le procedure devono essere rese più semplici, più rapide e più prevedibili, e devono consentire di fornire rapidamente un sostegno mirato, temporaneo e proporzionato, anche attraverso i crediti d’imposta, nei settori strategici per la transizione verde e che subiscono l’impatto negativo dei sussidi esteri o degli alti prezzi dell’energia». Nella bozza datata 2 febbraio, le conclusioni parlavano invece di sostegno «mirato e temporaneo». L’aggiunta del termine «proporzionato» sembrerebbe quindi andare incontro alle richieste di quei Paesi che temono che dalla nuova flessibilità agli aiuti di Stato derivi una corsa alle sovvenzione con il rischio di una frammentazione del mercato unico.
Il Consiglio straordinario del 9 febbraio può delineare già un bivio per l’Unione europea: o individuare una soluzione capace di rispondere al piano Usa, sostenuta da tutti, oppure il rischio è quello di un “rompete le righe”, almeno sul fronte degli aiuti di stato, con ognuno che procede per conto proprio.
Andrea Carli
Redattore
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