di Alberto Magnani
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Tutti, o quasi, è cominciato dalla stessa immagine: un muro di tende, piantate nel centro città e popolate da giovani in rotta con il caro affitti. Sta succedendo a Milano e nel resto d’Italia, era già successo a Tel Aviv con ragioni, obiettivi e denunce simili a quelli che stanno dilagando nella Penisola.
La «protesta delle tende», ispirata da una studentessa del Politecnico di Milano, ricorda una pagina vecchia di poco più di 10 anni: le proteste per la giustizia sociale in Israele, esplose nel 2011 e tornate alla ribalta nel 2022. Anche all’epoca si è partiti da accampamenti contro affitti fuori controllo, evolvendosi in una protesta sul costo della vita e il tracollo della classe media israeliana. Un dissenso culminato nella «marcia del milione», il raduno di centinaia di migliaia di israeliani fra Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa e altri centri urbani.
Le proteste italiane sono scattate sull’esempio di Ilaria Lamera, una studentessa bergamasca di 23 anni del corso di Ingegneria ambientale al Politecnico di Milano. Lamera si è accampata davanti alla sede centrale dell’ateneo di Piazza Leonardo da Vinci, contestando i prezzi di una città dove una stanza singola può lievitare anche oltre l’asticella degli 800 e 900 euro mensili. La sua dimostrazione è stata poi ricalcata a Roma e fra altre città universitarie che stanno sperimentando la stessa impennata di prezzi come Firenze, Bologna e Pavia.
Le manifestazioni italiane sono un déjà-vu di quanto visto in Israele poco più di un decennio prima, anche nell’anagrafe di chi ha fondato e guidato un movimento di rottura nella storia recente di Israele. È nel giugno 2011 che la 25enne Daphni Leef si ritrova fuori dalla casa affittata per tre anni dopo la sua laurea all’Università di Tel-Aviv, sperimentando sulla sua pelle il boom di canoni raddoppiati nell’arco di pochi anni. Ne nasce una pagina Facebook per denunciare l’impennata di prezzi e convogliare altri cittadini nelle proteste, immaginando un gesto simbolico: trasferirsi in una tenda fra le vie più eleganti di Tel-Aviv, a sottolineare l’inesistenza di alternative per l’alloggio. Il resto è nelle cronache.
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Nell’arco di poco più di un mese, il 14 luglio, Leef pianta una tenda a Rothschild Boulevard, l’arteria più centrale della città. Nel giro di 24 ore se ne aggiungono 50, scatenando una protesta che si allarga fra sindacati studenteschi, associazioni di cittadini e forze politiche. Il ritmo di crescita è così intenso che Binyamin Netanyahu, in una delle sue varie stagioni da premier, è costretto ad annunciare interventi pubblici per garantire il diritto alla casa e supporto agli studenti universitari alla ricerca di canoni abbordabili.
Non basta: il «popolo delle tende» si trasforma in proteste di piazza che sfiorano i 300mila manifestanti a Tel Aviv e superano i 100mila a Gerusalemme, allargandosi sia nelle dimensioni, sia nella portata di manifestazioni contro l’ascesa di povertà, disuguaglianze e il collasso di un ceto medio logorato dalla crisi finanziaria. A settembre del 2011 è la volta della «marcia del milione», un corteo che raduna quasi 500mila israeliani e diventa l’apice di proteste che si affievoliranno nei mesi, fino allo sgombero dell’accampamento che aveva resistito per mesi a Rothschild Boulevard.
La protesta israeliana si è chiusa ufficialmente nel 2012, non senza gli strascichi di chi l’ha bollata come una manovra delle sinistre contro Netanyahu, bersagliando soprattutto la stessa Leef e il suo ruolo di «portavoce» di un’agenda imputata a strumentalizzazioni esterne. Altri volti di quella stagione sceglieranno la via della politica attiva, entrando in Parlamento pochi anni più tardi. La allora 26enne Stav Shaffir, una delle prime militanti nella protesta, è stata eletta alla Knesset in quota laburista nel 2013 e guida oggi i Verdi (HaMiflaga HaYeruka)
L’eredità del movimento non sembra essersene andata, anche perché le ragioni delle proteste si sono mantenute o esasperate nel decennio successivo. Nel giugno del 2022 sono scattate manifestazioni simili ad Haifa, quarta città del Paese, scatenando nuove marce in quella che resta la città-simbolo della spirale degli affitti: Tel Aviv, “premiata” nel 2021 come città più costosa al mondo dal Worldwide Cost of Living Survey dell’Economist Intelligence Unit. Testimonianze raccolte dai media israeliani parlano di affitti mensili oltre l’equivalente di 1.500 dollari Usa per locali di 25 metri quadri, nel vivo di una crisi inflazionistica che erode soprattutto il potere d’acquisto delle generazioni più giovani. I cortei si sono snodati ovunque, toccando anche la Rothschild Boulevard: la via dove tutto è nato, e niente si è risolto, oltre un decennio fa.
Alberto Magnani
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