di Marco Trabucchi
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Indianapolis, sulla griglia di partenza due monoposto aspettano di scatenare tutti i loro cavalli all'accensione del semaforo verde. Una scena consueta, cristallizzata da numerosi film e videogiochi ambientati nel celebre autodromo americano.
Ma il 23 ottobre tutto sarà diverso dal consueto: per la Indy Autonomous Challenge i piloti saranno sostituiti da un'intelligenza artificiale che guiderà al posto loro una monoposto sfidandosi in una gara testa a testa su 20 giri per un primo premio di un milione di dollari.
Un evento unico nel suo genere, ideato, sviluppato e promosso da Energy Systems Network (Esn) e dallo stesso Indianapolis Motor Speedway in collaborazione con Cisco, main sponsor.
Le auto che parteciperanno alla Indy Autonomous Challenge - tutte Dallara IL-15 con motore V8 alimentato a benzina da 2200 cc capace di sviluppare una potenza di 420 cavalli e una velocità limitata a circa 320 km/h, prodotte dalla azienda parmigiana la cui sede americana sta proprio ad Indianapolis - si muoveranno grazie a una guida autonoma di Livello 4, cioè completamente indipendente da alcun controllo umano ma, a differenza del Livello 5, limitata in un’area circoscritta – in questo caso un autodromo.
In pratica, l’intelligenza artificiale, con software di controllo, sarà l’unica forza che guiderà e farà correre le vetture lungo i venti giri dell'iconico circuito ovale. Una corsa con tutti i crismi.
La partecipazione alla Indy Autonomous Challenge, la prima gara per vetture a guida autonoma su un circuito, è stata riservata a centri di ricerca universitari specializzati di tutto il mondo, eccellenze mondiali, tra cui il prestigioso Massachusetts Institute of Technology (Mit).
Tra i venti istituti partecipanti alla futuristica challenge - 5 teams USA e 4 internazionali - ci sono ben due team italiani: il PoliMove Team del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano e l'Università di Modena, figlia della Motor Valley italiana, che si è consorziata nel team Euroracing con le Università di Pisa, Zurigo e Varsavia.
Il PoliMove team è una delle poche ad aver accolto la sfida completamente da sola, se si esclude un supporto dell'Università dell'Alabama nella prima fase. Da due decenni l’ateneo è diventato uno dei principali gruppi internazionali nel campo nei settori del controllo automobilistico, dei veicoli intelligenti e della smart mobility.
Un'eccellenza composta da una trentina figure multidisciplinari, tra ingegneri informatici, dell'automazione, elettronici, meccanici e aerospaziali. «In questi giorni siamo ad Indianapolis per la messa a punto della monoposto - spiega Sergio Savaresi, docente del Politecnico di Milano che è alla guida del progetto “PoliMove Racing Team” -. In realtà la gara del 23 ottobre sarà l'ultimo step di un processo di selezione già cominciato quasi due anni fa».
«Nei mesi scorsi si sono svolte un paio di prove di selezione su un simulatore online che replica esattamente le sensazioni di guida sull’asfalto di Indianapolis. Nella prima bisognava dimostrare di poter automatizzare la guida di un veicolo e di saper eseguire delle manovre. È stata una prima scrematura La seconda è stata la simulazione di una vera gara in due manche, uno contro uno, partendo una volta davanti e una volta dietro l’avversario. Questo è stato uno step molto importante perché abbiamo dovuto finalizzare il software per la gara virtuale, che poi abbiamo vinto. Quello che, nelle milestones precedenti, si faceva virtualmente al simulatore come in un videogame, lo faremo davvero sull’asfalto dell’ovale di Indianapolis».
L'invito a partecipare è arrivato nel 2020 direttamente dagli organizzatori e il PoliMove team accettato con entusiasmo. «Questo tipo di competizione, finalmente, apre la strada allo sviluppo in ambito racing di tecnologie importantissime per lo sviluppo dell'auto oggi. Le principali competizioni motoristiche che conosciamo oggi, come la F1, divergono dall’obiettivo principale della tecnologia automobilistica, che si concentra sempre più sulla tecnologia ICT e sull’automazione dei veicoli. Sorprendentemente, un’auto di fascia alta oggi ha un contenuto di tecnologia di controllo e automazione integrata notevolmente superiore a quello di un’auto di F1. Questo perché si è scelto di dare enfasi alle capacità del pilota, con la decisione di limitare o di vietare le tecnologie di controllo automatico (il semplice controllo di trazione è stato vietato circa 20 anni fa). Rimane il fatto che se uno come Benedetto Vigna, fisico che ha sviluppato i Mems (Micro-Electro-Mechanical Systems), è diventato ad di Ferrari è un segno tangibile dei tempi».
L’obiettivo principale dichiarato dell’Iac è aumentare la consapevolezza pubblica dell’impatto trasformativo che l’automazione può avere sul miglioramento della sicurezza e delle prestazioni dei veicoli, facendo progredire la tecnologia in grado di accelerare la commercializzazione di veicoli completamente autonomi e l’implementazione di sistemi avanzati di assistenza alla guida.
«La guida autonoma sarà il vero game changer, più che la motorizzazione elettrica. Penso che questo avverrà in una decina di anni. Magari non si arriverà al livello 5, cioè la completa automatizzazione prospettata da Elon Musk, ma ci avvicineremo», prosegue Savaresi.
Da qui l'importanza di sviluppare una nuova generazione di software in grado di garantire il controllo di precisione dei veicoli - anche ad alta velocità che permetterà di anticipare i tempi di commercializzazione delle vetture di serie a guida autonoma.
La Indy Autonomous Challange darà la possibilità di sviluppare la guida autonoma in un contesto adatto e protetto. «Siamo fortunati – ci spiega Savaresi - perché giochiamo sul migliore campo di prova possibile, dato che l'origine del circuito Indi è da sempre quello di essere un proving grounds vero e proprio, un avamposto dell’innovazione automobilistica».
Il 23 ottobre, giorno delle finali, tutte le automobili in gara saranno identiche tra loro e non sarà concessa nessuna ulteriore modifica meccanica, aerodinamica o al motore. Anche l'elettronica e la sensoristica sono uguali per tutte le squadre. Tutto il lavoro sta a monte nella programmazione dell’algoritmo che dovrà essere raffinatissimo. Con l'obiettivo di sorpassare, deve insegnare alla stessa come farlo, sapendo come prendere e tagliare le curve, come evitare le collisioni, come mettersi in scia e come attivare eventuali tecniche di difesa.
«I veicoli sono molto affidabili e a livello di software tutti i team hanno il loro, collaudato. I problemi che i team si trovano ad affrontare in questo momento preparatorio riguarda la robustezza e l'affidabilità dell'assemblaggio hardware e l'architettura delle connessioni di rete. Queste macchine sono ancora dei prototipi a livello hardware – spiega Savaresi impegnato nella messa a punto e il cablaggio dell'auto.
Tutti i team stanno dunque lavorando alacremente per scongiurare la possibilità di un guasto o nel peggiore dei casi, uno schianto, mandando in fumo un investimento cospicuo. «Questa gara è molto impegnativa dal punto di vista del budget – prosegue il docente del Politecnico -. Ogni team ha sostenuto costi effettivi di almeno mezzo milione di euro ciascuno, tra cui la macchina».
E proprio per sostenere la partecipazione del team alla Indy Autonomous Challenge il Poli ha attivato anche una campagna di crowdfounding.L'idea è quella di continuare l'esperienza e le opzioni su come proseguire la challange sono sul tavolo degli organizzatori.
Ma le esperienze di racing a guida autonoma non finiranno sul circuito ovale di Indianapolis.
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