di Eugenio Bruno
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Era il 1989 quando il festival di Cannes scopriva il talento di un 26enne cineasta americano e premiava con la Palma d’oro la sua conturbante opera prima Sesso, bugie e videotape. Ventotto anni (e quasi altrettanti film) dopo, Steven Sorderbergh fa dietrofront rispetto alle scelte dell’ultimo quadriennio, in cui si è dedicato esclusivamente alle serie tv. E torna sul grande schermo con una commedia frizzante e piena di ritmo. Ben musicata. Con un cast di buon livello che non delude le attese. Dando vita a una sorta di spin-off dei suoi celebri Ocean’s Eleven, Twelve e Thirteen. Anche Logan Lucky, visto oggi alla Festa del cinema di Roma, ruota infatti intorno alla progettazione e alla realizzazione di un colpo milionario. Anche se a metterlo a segno è un gruppo di criminali per caso anziché una banda scafata, patinata e tecnologica.
Un film che sfrutta tutte le potenzialità del digitale
Il primo merito di Logan lucky è quello di sembrare un film realizzato da una major per plot, ritmo e resa visiva. Senza però esserlo. Se ci riesce - spiega lo stesso Soderbergh - lo si deve al digitale che ha consentito di abbattere drasticamente i costi di produzione e di distribuzione. Efficace è anche l’ambientazione: la pista Charlotte Motor Speedway del North Carolina, durante la leggendaria corsa automobilista Coca-Cola 600. Che i due fratelli squattrinati Jimmy (Channing Tatum, anche produttore) e Clyde Logan (Adam Driver) mettono nel mirino per imprimere un “testacoda” alla loro esistenza. Grazie alla collaborazione dell’esperto in esplosioni Joe Bang (Daniel Craig) riescono a svuotare il sofisticato e automatizzato caveau che custodisce gli introiti del circuito. Proprio quando sembra che il colpo del secolo sia stato portato a termine ecco comparire sulla scena un’inarrestabile agente dell’Fbi, Sarah Grayson (Hilary Swank), che inizia a sospettare di tutto e tutti.
La forza di un cast ben assortito
Altro punto in comune con la serie fortunata di Ocean’s - e dunque secondo punto di forza di Logan lucky - è il suo cast ben assortito. Senza grandi star ma con un gruppo affiatato di interpreti al servizio della causa comune. Si va dalla fisicità appesantita dell’ex spogliarellista Tatum - che parte dopo parte comincia ad acquisire tempi e movenze cinematografiche sconosciuti ai tempi di Magic Mike - all’apparente fissità di Driver (già visto in Hungry hearts, Silence e soprattutto in Star Wars: il Risveglio della Forza) che in realtà si rivela piena di sfumature; dalla presenza scenica ormai nota di Hilary Swank fino ai tempi comici fin qui insospettabili di Sir James Bond, Daniel Craig. L’amalgama tra i diversi personaggi funziona. E se ne avvantaggia anche la brillantezza della sceneggiatura. Con una battuta sulla “fame” di un gruppo di detenuti per la serie tv Il trono di spade che strappa anche un applauso a scena aperta alla platea. Un’accoglienza migliore per il divertissement con cui ha scelto di fare il salto all’indietro dal piccolo al grande schermo forse Soderbergh non poteva chiedere.
Eugenio Bruno
vice caposervizio
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