di Cristina Dalloro
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Anche Martin Parr ha un cassetto in cui tiene i suoi segreti: ad esempio, che cosa ha visto a uno degli ultimi garden party della regina Elisabetta. Ovviamente aveva con sé la Nikon di ordinanza, ma l'accordo è che resti tutto molto confidenziale. «Per ora, almeno». C'è un accenno di malizia bonaria mentre si collega dalla sua fondazione, a Bristol. Sono giorni intensi, perché si sta preparando agli eventi di maggio: poco prima di compiere 71 anni riceverà a Londra il Photo London Master of Photography 2023, attribuito a un artista vivente per il suo contributo alla fotografia.
Martin Parr Collection, autoportrait (2010). ©Martin Parr / Magnum Photos
Alla Somerset House, che ospita l'appuntamento di primavera più atteso dagli appassionati del genere, ci sarà anche spazio per una selezione dei suoi 50 anni di carriera: il reportage di una vita, verrebbe da riassumere, un concentrato di Britishness attraverso la lente del suo osservatore più acuto. E anche il più beffardo: «È un tema che salta sempre fuori. Ma il senso dell'umorismo è puro istinto: nessuno te lo può insegnare. Lo eserciti quando capisci che la gente è una fonte inesauribile di piccole follie, materiale che dà solo grandi gioie».
“Llandudno, Wales”,(2013). © Martin Parr / Magnum Photos / Rocket Gallery
Pizzicando tra i suoi grandi classici vengono fuori la serie dei sandali abbinati ai calzini e quella degli affollamenti ai buffet, gli approfondimenti sulla vita da spiaggia all'inglese (The Last Resort, 1983-86, dalla serie dedicata a New Brighton, è stata battuta da Sotheby's nel 2021 per 21.420 sterline) e pure il rossetto che macchia i denti impegnati in un sorriso, prova dell'imperfezione quotidiana della vita reale (Zurich, dalla serie Common Sense, 1997, da 3.500 a 4.500 euro). Ma ci sono anche le campagne pubblicitarie, Gucci in testa, realizzate scegliendo i modelli tra la gente per strada, per rendere la moda più credibile. Un'opzione volutamente terra terra, nel segno dell'anti-cliché. «Certo, devi avere al tuo fianco il producer giusto, che capisce dove vuoi arrivare, ma quando succede è una soddisfazione».
“Great Dorset Steam Fair, Dorset, England” (2022). © Martin Parr / Magnum Photos / Rocket Gallery
È da un po' che Parr non frequenta quel genere di set: «L'età e la salute mi hanno messo dei paletti. Però il processo che seguo è lo stesso, da sempre. Prima devo avere in testa l'immagine giusta per renderla accattivante, con i colori e la composizione adatta. Poi, posso sovvertire le regole, e vedere l'effetto che fa». Vestito sempre nello stesso modo, «anonimo, in grigio, blu o beige», senza nemmeno la velleità di passare inosservato, spiega: «Qualcuno definisce le mie foto come fictional: lo sono perché l'uso del flash esagera il risultato e mostra qualcosa che l'occhio umano non potrebbe cogliere naturalmente. Ma non c'è mai una volontà di travisare il contenuto, è piuttosto un'interpretazione: estrarre l'essenza di un'immagine serve a veicolare il senso del racconto».
“Bristol, England”(2016). © Martin Parr / Magnum Photos / Rocket Gallery
Nella serie Small World Martin Parr ha spinto il gioco dei ribaltamenti in un'altra direzione ancora: all'incrocio tra cultura globale, turismo di massa e pretesa di unicità. Negli anni in cui si viaggiava senza remora, un selfie avrebbe certificato che una certa meta era stata raggiunta: possibilmente, ci sono il soggetto e il paesaggio, e nessun altro; la prova di una vacanza perfetta. Ma se sei lì apposta per fare il contrario e ti piace mostrare cosa c'è oltre la cornice, ne approfitti: memorabile lo scatto dei turisti che fingono di reggere con le mani la torre pendente di Pisa; ripresi con una prospettiva più ampia, fanno tutti la stessa identica cosa nello stesso identico istante. Ed è lo stesso significato del paesaggio a fare una capriola: sono i turisti a rendere interessante la torre, non viceversa.
“St Ives, Cornwall, England”(2017) © Martin Parr / Magnum Photos / Rocket Gallery
Fa apparire tutto facile: lo è stato? «Sulla lunga distanza non direi che le cose siano state così difficili. Basta attenersi al piano, essere coerenti e cercare di mantenere un punto di vista interessante. È questa la sfida: ecco perché realizzo i progetti con fotocamere diverse e più tipi di obiettivi. Serve a tenermi aggiornato e mi mantiene giovane e fresco, per quanto ormai io sia diventato un po' lento». Considera: «A questo punto del percorso, comunque, posso dire che sono stato fortunato a incontrare tanta umanità. E che ho avuto una vita fantastica».
“Pride, Bristol, England”(2019). © Martin Parr / Magnum Photos / Rocket Gallery
Maestro del sottotono, Martin Parr non sa che farsene dei vanti: per lui parlano i fatti e i numeri. Due anni fa ha ricevuto la nomina a Commander of the British Empire per volere di Sua Maestà. L'anno scorso è arrivato in libreria A Year in the life of Chew Stoke Village, riferito all'anno, il 1992, passato nel villaggio del Somerset: è l'ultimo libro, preceduto però da altri 117. Dagli anni Settanta il suo nome è legato a 400 mostre, di cui 52 monografiche, e compare nelle collezioni di una cinquantina di musei. Membro dell'agenzia Magnum, ne è stato per un certo periodo anche il presidente. Lo hanno voluto come curatore di festival – era ai Rencontres d'Arles, guest director, nel 2004 – e come docente universitario. Ma insiste: «Tutto vero, ma alla fine mi interessa solo fotografare. L'insegnamento e la curatela sono entrati nel mio curriculum perché mi incuriosiva la sfida, così come la regia dei documentari, ma quel che ha contato di più è stato interagire con il mondo attraverso l'obiettivo». Perciò sente forte la responsabilità di testimoniare i tempi: da qui, il lavoro sugli archivi e la Martin Parr Foundation.
L'allestimento della monografica di Martin Parr alla Galerie Clémentine de la Féronnière di Parigi( fino al 6 maggio). COURTESY Galerie Clementine de la Feronniere.
Di materiali storici ne ha in quantità: «Ho una buona memoria: salvo sorprese, ricordo che cosa ho fatto. La mia prima foto ha al centro mio padre, in piedi, su una lastra di ghiaccio, in bianco e nero. La prima a colori era invece per un compito in classe, all'inizio degli anni Settanta, a Manchester. Una donna con un cappotto rosso davanti a una cassetta della posta». Di solito ti accorgi quando hai davanti lo scatto giusto, dice. Vale anche per le foto mancate: «Capita di continuo, ovvio, ed è seccante. Vedi la situazione, ma perdi l'attimo: è una battaglia perenne, se vuoi chiamare così la determinazione che ti tiene agganciato al desiderio di portare a casa il risultato». Oggi, al mercato delle aste, i suoi lavori più ricercati, con punte di apprezzamento in crescita del 60 per cento, non sono quelle per cui è più famoso, ma i lavori in bianco e nero dei primi anni, «quando nessun museo avrebbe preso in seria considerazione altro che quello: perciò il colore era bandito».
Un'immagine dal libro “A Year in the life of Chew Stoke Village”. © Martin Parr / Magnum Photos
Ancora oggi gli piace rimettere mano ai provini e considerarli con uno sguardo aggiornato: perciò non ha esitato davanti alla proposta di Lee Shulman. Filmaker, quest'ultimo ha cucito un progetto, The Anonymous Project, attorno a una prima scatola di vecchie foto di gente sconosciuta. Da allora le raccoglie e seleziona le più significative: Martin Parr le ha messe in relazione con le proprie in un dialogo visivo, Déjà View. A Conversation in Colour, diventato un libro e una mostra (l'anno scorso a Cortona On The Move). E poi c'è la Martin Parr Foundation: aperta nel 2017, intende preservare l'esistente e sostenere il futuro, includendo gli autori che lavorano in Gran Bretagna e Irlanda. La fondazione ha infatti una sua collezione di opere, pubblica libri, vuole rendere il mezzo accessibile a tutti e organizza mostre. Dopo A Year in the life of Chew Stoke Village, chiusa il 9 aprile, sarà la volta di The Dynamic, con le foto di Sebastian Bruno, dal 20 aprile al 2 luglio. Sono entrambe storie di comunità. La permanenza di Martin Parr a Chew Stoke nasceva da un incarico del Telegraph Magazine. The Dynamic era invece un giornale locale del Galles: un riferimento, finché ha sostenuto la linea anti Brexit nella località che più ha votato per l'uscita dall'Europa. «La macchina fotografica è lo strumento che uso per connettermi con ciò che mi circonda», ribadisce. «Il mondo cambia continuamente, anch'io non sono più quello di prima: la fotografia ricostruisce la trama di quella trasformazione e permette di capirla».
“Women reading The Dynamic, Swffryd Community Centre, Swffryd” di Sebastian Bruno. Fa parte della mostra “The Dymanic”, alla Martin Parr Foundation di Bristol (dal 20 aprile al 2 luglio). © Sebastian Bruno
Intanto nello studio attiguo alla fondazione ci si prepara a ricevere gente: dopo il passaggio a Londra e prima della festa di compleanno, Martin Parr sarà a disposizione di chi vuole un ritratto in quello stile inconfondibile: iperrealista, flashato, colorato, esagerato. Non succedeva da tempo, ma la voglia non manca. E nemmeno i props: molti arrivano già con un'idea, gli animali da compagnia, gli oggetti che vorrebbero includere nella foto ricordo. È capitato con una pizza gonfiabile. Poi è stata la volta dei Rikishi, i lottatori di sumo. L'invito è a prenotare, sapendo che anche cani e conigli sono i benvenuti: in numero accettabile, beninteso. Martin saprà certo farsi capire, anche da loro.
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