Norme e Tributi
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Cassazione, «mefistofelico» al sindaco? È diffamazione l’accostamento al diavolo

di Patrizia Maciocchi

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Anche se l’accusa rivolta al primo cittadino, con dei manifesti, di tenere il cimitero nel degrado è vera non scatta il diritto di critica per il paragone con il demonio. È leso il sentimento religioso di un cattolico, in generale l’affermazione è offensiva per chiunque

14 aprile 2022
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2' di lettura

Accusare il sindaco di essere mefistofelico, a causa dell’incuria in cui versa il cimitero, è diffamazione. Perché il paragone con Belzebù lede il sentimento religioso del primo cittadino, ed è comunque, offensivo per chiunque a prescindere dalle convinzioni religiose. Nel mirino dei giudici finiscono così dei manifesti con i quali un cittadino, firmandosi con nome e cognome, aveva accusato l’allora sindaco della città, di non avere rispetto dei defunti, e non meritare dunque quello dei cittadini.
Per l’autore dei manifesti si trattava di un’amministrazione mefistofelica «tesa a far sprofondare la città nell’inferno». Ad avviso della Corte d’Appello però non c’era stata nessuna diffamazione. I fatti rispondevano alla verità, il camposanto era in condizioni di evidente degrado e l’accusa riguardava un problema interessante per la collettività. Il tutto faceva dunque rientrare le espressioni colorite nella critica politica. Un’esimente riconosciuta malgrado i toni forti che si muovevano comunque «nel solco della metafora mortuaria».

Il paragone con Satana

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Anche l’aggettivo mefistofelico, sul quale in particolare si era concentrata l’attenzione del sindaco, doveva intendersi più rivolto all’intera amministrazione che al primo cittadino. «Il richiamo religioso alla figura di Satana era da ritenere, secondo la Corte d’Appello, connesso alla situazione del cimitero comunale». Quanto poi all’offesa del sentimento religioso lamentata, il ricorrente «non aveva fornito la prova dell’incidenza del fattore religioso nella sua formazione culturale e personale». La Cassazione invece accoglie il ricorso, ritenendo tra l’altro la prova richiesta, questa sì, “diabolica”. La Suprema corte si chiede infatti che tipo di dimostrazione la vittima dovesse offrire in merito al suo credo oltre al professarsi cattolico. La questione è comunque facilmente superata dalla semplice osservazione che «l’accostamento al diavolo costituisce un’affermazione che, solitamente, ha carattere offensivo anche a prescindere dalle convinzioni religiose di ciascuno».

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