di Giuseppe Cosenza
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Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza stanzia 500 milioni di euro a fondo perduto (grants) per la digitalizzazione del patrimonio culturale pubblico e privato e per la creazione di infrastrutture e piattaforme digitali di conservazione e accesso alle risorse culturali digitali. Sempre nella stessa linea di intervento sono previsti investimenti per la creazione di nuovi contenuti culturali e per lo sviluppo di servizi digitali, ad alto valore aggiunto, da parte di imprese culturali e creative e start-up innovative. L'intervento a cui ci stiamo riferendo è indicato nella Missione 1 C3, Turismo e Cultura 4.0, capitolo Misura 1 Patrimonio culturale per la prossima generazione, 1.1 Piattaforme e strategie digitali per l’accesso al patrimonio culturale.
L'intero investimento si suddivide in 12 progetti, per la maggior parte in capo all'Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale articolati secondo una tempistica ben definita: 11,2 milioni di euro nel 2021, 59,0 milioni di euro nel 2022, 124,3 milioni di euro nel 2023, 146,8 milioni di euro nel 2024, 99,2 milioni di euro nel 2025 e 59,5 milioni di euro nel 2026. Il primo acconto è stato finanziato il 13 di agosto scorso ed è compreso nei 106 progetti che costituiscono il motore della fase uno del PNRR e che dovranno rendicontare spese entro il 31 dicembre 2021.
Entro la fine del 2024 si prevedono obiettivi molto importanti, quali la formazione di almeno 30mila utenti attraverso la piattaforma di e-learning dedicata ai beni culturali e la produzione e la messa online di almeno 65 milioni nuove risorse digitali; le milestones sono indicate nel dossier parlamentare di approfondimento al PNRR pubblicato il 27 maggio 2021.
Appare chiaro che gli investimenti previsti nel programma di digitalizzazione del patrimonio culturale rappresentano una grande occasione per innovare il settore dei beni culturali, sempre che le risorse non vengano sprecate e che si dia trasparenza sull'utilizzo dei fondi e sui soggetti pubblici e privati coinvolti nei dodici progetti.
L'occasione per parlare nuovamente del programma di investimento è nata dal seminario/workshop “Visione e competenze per il piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale”, promosso dall'Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale – Digital Library e dalla Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali, nel corso dell'ultima edizione di LuBec 2021. Ne abbiamo parlato con Laura Moro, direttrice della Digital Library, in un'intervista ad Arteconomy24 dove abbiamo toccato diversi temi, come il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio, la digitalizzazione delle collezioni culturali e la formazione e l’aggiornamento digitale rivolto al personale del Ministero della Cultura.
Qual è l'obiettivo dell'evento organizzato a LuBec 2021?
Abbiamo pensato di essere presenti al LuBeC per parlare del Piano nazionale di digitalizzazione perché per noi rappresenta il framework di guida delle azioni degli istituti. L'obiettivo finale del PNRR, almeno, per quanto riguarda il digitale applicato alla cultura, è aprire nuovi modelli di fruizione del patrimonio culturale che vengono abilitati con le tecnologie digitali. Ciò comporta un nuovo rapporto con l'utenza a cui la pubblica amministrazione deve cedere spazi di potere. Quindi l'obiettivo è quello di aprirsi a nuove relazioni con l'utenza e, di conseguenza, a nuovi modelli di business. Al LuBeC ci confrontiamo con le prime risultanze dei tavoli di lavoro che abbiamo avviato per il Piano nazionale di digitalizzazione.
Quando lei parla del Piano digitale a che universo si sta riferendo? Non è chiaro se si riferisca alle istituzioni del MiC, oppure alle istituzioni regionali, oppure al terzo settore. Qual è la galassia alla quale lei sta guardando?
Partiamo dal MiC che ha il patrimonio più rilevante e poi andiamo verso le regioni e poi verso il terzo settore. Questo vale anche per i pubblici. Partiamo prima dagli specialisti, poi da ricercatori, poi da tutti pubblici. L'infrastruttura software (di dati) che stiamo pensando non è un collettore, ma eroga servizi. Consente a sistemi di terze parti, anche a privati e al terzo settore, di utilizzare i servizi infrastrutturali.
Cosa ne pensa rispetto a chi ha l'impressione che questo percorso sia calato dall'alto?
L'11° progetto riguarda il portale della co-creazione e del crowfunding. Quel portale sarà uno snodo, una piattaforma, un network. Il 12° stream riguarda il portale per le imprese e gli sviluppatori. Prima dobbiamo recuperare il gap e poi guardiamo al futuro. La cosa che lei dice ce l'ho ben chiara. Dobbiamo coniugare il recupero del gap con la creazione di nuovi modelli di valore. Il MiC vorrebbe recuperare il gap, gli innovatori e le startup vorrebbero guardare solo al futuro.
L'evento promosso al LuBec 2021, venerdì 8 ottobre, è stato diviso in due sessioni, una mattutina e un'altra pomeridiana. Nel corso della mattinata si sono affrontati i temi legati alla governance dei processi di digitalizzazione del patrimonio e il sistema delle regole; gli open data e il riuso delle immagini dei beni culturali in ambiente digitale; le competenze le nuove professioni. Nel pomeriggio è stato realizzato un workshop, visibile solo in presenza, in cui i partecipanti hanno immaginato l'utilizzo e le funzionalità dei servizi culturali digitali.È stata una giornata interlocutoria che ha segnato l'avvio di un percorso molto complesso che durerà fino al 2026. Sono ancora pochi i risultati prodotti dai tavoli di lavoro ed è ancora presto per pretenderli. Peccato che si sia persa l'occasione per parlare dell'impiego degli 11 milioni di euro ricevuti a titolo di anticipo il mese di agosto e quali saranno gli attori coinvolti nell'utilizzo di tali risorse.
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