La sede del ministero dell’Economia e delle Fionanze (foto Agf)
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Il decreto Lavoro approvato dal Consiglio dei ministri il primo maggio e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 (il provvedimento è in vigore dal 5) mette mano alle politiche di remunerazione dei vertici delle quotate di Stato. In base a una norma contenuta nel provvedimento i gettoni di presenza, per la partecipazione alle attività di società che rientrano nel perimetro della pubblica amministrazione, concorrono al calcolo del reddito che - in base alla legge - per i dirigenti pubblici non deve superare il tetto fissato a 240mila euro. In un intreccio di rimandi legislativi, il provvedimento aggiunge che vanno considerati anche «i gettoni di presenza erogati dalle amministrazioni inserite nell’elenco Istat» che definisce i confini delle amministrazioni pubbliche.
L’applicazione della soglia, prevista da norme del passato, vale per tutti coloro che ricevono «a carico delle finanze pubbliche retribuzioni o emolumenti comunque denominati in ragione di rapporti di lavoro subordinato o autonomo intercorrenti con le autorità amministrative indipendenti, con gli enti pubblici economici e con le pubbliche amministrazioni».
Sempre in base all’ultima bozza del provvedimento, nell'esercitare i suoi diritti di azionista il Mef dovrà adottare strategie dirette a «contenere i costi di gestione; privilegiare le componenti variabili direttamente collegate alle performance aziendali e a quelle individuali rispetto a quelle fisse; escludere o comunque limitare i casi e l'entità delle indennità e degli emolumenti in qualunque modo denominati corrisposti a causa o in occasione della risoluzione del rapporto di lavoro riconducibile alla volontà del lavoratore e nei casi di fine mandato».
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