di Sissi Bellomo
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Altro che allarme litio. La produzione del metallo, impiegato nelle batterie, starebbe crescendo così in fretta da provocare un eccesso di offerta capace di far dimezzare i prezzi in quattro anni.
È quanto prevedono gli analisti di Morgan Stanley, che con un rapporto choc pubblicato ieri hanno fatto crollare le quotazioni delle maggiori minerarie attive nel settore: l’americana Albemarle e la cilena Sociedad Quìmica y Minera (Sqm), declassate ad «underweight» dalla banca, hanno registrato perdite vicine al 10% a Wall Street.
Entrambe sono attive in Cile, dove la soluzione di una disputa col Governo ha aperto la strada a un forte sviluppo della produzione di litio. Nel Paese sudamericano i costi produttivi sono molto bassi, perché il metallo è ricavato da laghi salati e non da rocce estratte in miniera come in Australia.
Secondo Morgan Stanley, Albemarle ed Sqm incrementeranno la produzione di 200mila tonnellate l’anno entro il 2025. In totale da Cile, Argentina e Australia arriveranno altre 500mila tonnellate di litio, che si sommeranno all’attuale offerta di circa 215mila tonnellate l’anno.
Un surplus potrebbe essere evitato solo se la quota di auto elettriche sul totale delle immatricolazioni globali salisse dal 2% al 31% entro il 2025. La banca lo esclude ed è convinta che il prezzo del carbonato di litio scenderà a 7.332 $/tonnellata entro il 2021 e successivamente a 7.030 $, dagli attuali 14.500 $ rilevati in Sud America da Benchmark Mineral Intelligence.
Sissi Bellomo
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